I CHIARIMENTI IN UNA RISPOSTA DELLA DRE LOMBARDIA SULLA VERIFICA DELLA PREVALENZA RESIDENZIALE
di Sandro Cerato
Per la verifica della prevalenza della superficie abitativa si devono considerare residenziali anche le pertinenze delle abitazioni, con conseguente possibilità di fruire del superbonus 110% anche alle unità non abitative per i lavori effettuati sulle parti comuni dell’edificio condominiale. È quanto emerge dalla lettura della risposta ad interpello n. 904-2305/2021 della Dre Lombardia, con cui si aggiunge un ulteriore tassello interpretativo sulla corretta applicazione delle regole previste dall’art. 119 del dl n. 34/2020 in materia di superbonus 110%. Ma andiamo con ordine, ricordando in primo luogo che per gli interventi eseguiti su edifici condominiali, il citato art. 119 del dl n. 34/2020 prevede le seguenti regole:

– è necessaria la presenza di un intervento «trainante» di riqualificazione energetica realizzato sulle parti comuni dell’edificio (si tratta del «cappotto» o della sostituzione dell’impianto di riscaldamento centralizzato). La detrazione corrispondente a tale intervento, per sua natura, è attribuita ai singoli condòmini in proporzione ai millesimi posseduti da ciascuno di essi;

– l’intervento «trainante» permette ai singoli condòmini di agevolare con il superbonus 110% anche gli interventi «trainati» eseguiti sulle singole unità abitative che compongono l’edificio condominiale (rifacimento degli infissi, installazione di impianto fotovoltaico e di colonnine di ricarica per i veicoli elettrici). Per tali interventi è del tutto evidente che la detrazione spetta per intero al singolo condòmino che li realizza all’interno della propria unità immobiliare.

In secondo luogo, deve essere evidenziato che già con la C.m. n. 24/E/2020 l’Agenzia delle entrate ha precisato che la locuzione «condomini» utilizzata nell’art. 119 del dl n. 34/2020, e non «parti comuni» degli edifici sta a significare che deve sussistere il condominio secondo la disciplina civilistica di cui agli artt. da 1117 a 1139 del codice civile.

Il «condominio» è una particolare forma di comunione in cui coesiste la proprietà individuale dei singoli condòmini sulle singole unità immobiliari e una comproprietà sui beni comuni dell’immobile.

Le medesime considerazioni si applicano anche ai c.d. «condomini minimi», ovvero edifici composto da un numero non superiore di otto condòmini, la cui unica differenza sussiste nell’assenza dell’obbligo della nomina dell’amministratore di condominio e dell’approvazione di un regolamento di condominio.

Venendo al contenuto dell’interpello oggetto di risposta da parte della Dre Lombardia, la questione attiene alle modalità di verifica della prevalente destinazione abitativa dell’edificio condominiale, in quanto come ribadito da ultimo nella C.m. n. 7/E/2021 (ma anche nella citata C.m. n. 24/E/2020), in caso di interventi sulle parti comuni di un edificio, è necessario distinguere due ipotesi:

– l’edificio è a prevalente destinazione abitativa, in quanto più del 50% della superficie complessiva delle unità immobiliari è destinata a residenza, nel qual caso il superbonus 110% per gli interventi sulle parti comuni spetta anche ai possessori di unità immobiliari non residenziali (anche se soggetti diversi dalle persone fisiche). Resta comunque preclusa l’agevolazione per gli interventi trainati effettuati sulle singole unità immobiliari non abitative;

– l’edificio non è a prevalente destinazione abitativa, in quanto la superficie complessiva destinata a residenza è minore del 50%, nel qual caso il superbonus 110% per gli interventi sulle parti comuni spetta ai soli possessori di unità immobiliari residenziali. Per tali soggetti spetta anche la detrazione per gli interventi trainati eseguiti sulle singole unità immobiliari.

Per quanto riguarda la metodologia di calcolo da applicare per la verifica della prevalente «residenzialità» dell’edificio, nella risposta all’interpello in commento l’Agenzia ritiene che occorra procedere ad una verifica sull’intero complesso, confrontando la superficie catastale delle unità immobiliari residenziali con quella catastale totale.

Nella valutazione della percentuale di residenzialità, prosegue l’Agenzia, le pertinenze seguono la natura dell’immobile a cui sono asservite. Ciò significa che nel caso di pertinenze di immobili residenziali, le stesse assumono valenza di superficie residenziale, con conseguente «vantaggio» per la verifica della prevalente destinazione abitativa dovendosi considerare «abitazioni» unità immobiliari che per loro natura non lo sono (ad esempio i box auto classificati nella categoria catastale C/6).

In buona sostanza, dalla risposta dell’Agenzia emerge che le unità immobiliari che potenzialmente possono essere considerate delle pertinenze di immobili abitativi (C/2, C/6 e C/7) devono essere conteggiate quali unità abitative se sono effettivamente destinate a pertinenza dell’unità residenziale, mentre rimangono «commerciali» (e quindi non residenziali) se non presentano la destinazione pertinenziale.

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