di Angelo De Mattia
Luca Gualtieri ha presentato con grande equilibrio sul settimanale di MF-Milano Finanza, ora in edicola, l’operazione di acquisizione, da parte di Leonardo Del Vecchio, di una partecipazione di circa il 7% in Mediobanca , in una con i possibili sviluppi che si potrebbero estendere anche alle Generali , partecipate da Mediobanca per il 13% circa. A me sembra che non sia più sostenibile la tesi secondo la quale è a presidio dell’autonomia dell’Istituto la previsione statutaria che vuole l’amministratore delegato di Mediobanca scelto tra i dirigenti dell’Istituto stesso che sono eletti per far parte del cda. Più in particolare, si tratterebbe di prevenire un possibile conflitto di interesse con il partecipante di maggioranza relativa, l’Unicredit , che ha una interessenza di circa l’8%, il quale potrebbe promuovere la nomina di un ad di suo gradimento oppure appartenente comunque al suo organico. In sostanza, l’azionista di maggioranza sceglierebbe colui che ricopre il ruolo più importante nel governo della Banca, realizzando, così si opina, una impropria commistione. A ben vedere, anche alla luce dell’evoluzione intervenuta in materia, si tratta di un chiaro non sequitur: all’indicazione di una giusta esigenza, la prevenzione cioè di conflitti di interesse e al rafforzamento dell’autonomia di Mediobanca , fa seguito una misura del tutto sproporzionata che, paradossalmente, attribuisce agli organici dell’Istituto una situazione di privilegio al fine indicato così intralciando la competitività che si può realizzare tra azionisti che ipotizzino scelte diverse, sicuramente rientrando, esse, nel loro potere. Non può essere il mantenimento di siffatta previsione neppure un retaggio del breve utilizzo del modello societario dualistico con il Consiglio di gestione che aveva particolari vincoli, considerato che Mediobanca dovette superare rapidamente quel modello per la serie di inconvenienti che presentava sotto il profilo giuridico e operativo. Del resto, dopo alcuni anni il modello in questione è stato rimosso completamente e giustamente all’interno del settore bancario. La sua adozione è valsa in qualche caso ad agevolare aggregazioni tra banche, ma per il resto è stata una prova mal riuscita. Se un problema di conflitto di interesse esiste, questo richiede non soluzioni ad bancam, tanto meno privilegi o esclusive soluzioni statutarie, ma una normativa di carattere generale, valida erga omnes. È pur vero che Mediobanca , già alla nascita, fruì di una condizione particolare con il Dlcps 370/1946 che le diede la possibilità di operare come istituto di credito speciale e come azienda di credito a breve (donde la sua tricefalia di istituto speciale, merchant bank e holding di partecipazione); ma oggi i tempi sono completamente diversi. Se Del Vecchio avesse intenzione di recitare un ruolo da protagonista nell’assetto societario dell’Istituto di Piazzetta Cuccia, ciò non rappresenterebbe di certo un «assedio», come un settimanale ha scritto, ma l’esercizio di una normale attività competitiva che sicuramente non spaventa nessuno, anche se questa dovesse poi avere una proiezione sul Leone di Trieste. Non esistono più in Piazzetta Cuccia salotti buoni, stanze di compensazione del debole capitalismo italiano, laboratori di costruzione di patti di sindacato, scatole cinesi, assetti societari piramidali, architetture di controllo. È fondamentale che si dimostri chiarezza di obiettivi, trasparenza nei mezzi, correttezza assoluta, tutela della stabilità aziendale, dopodiché sarà il mercato a decidere, sia pure in un settore speciale qual è quello del credito fondato sul prius della protezione del risparmio. O dopo aver tanto osannato il mercato, che vogliamo comunque regolato, ce ne dimentichiamo? È comunque lecito ritenere che l’Unicredit debba dismettere quella che sembra una posizione sfingea sin qui tenuta e far conoscere sulla vicenda il proprio orientamento. (riproduzione riservata)
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