Lo raccomanda Bundesbank al governo
di Ettore Bianchi

I tedeschi pensavano che il dibattito sull’età pensionistica si fosse chiuso con la riforma del 2012 che elevava, per gradi, l’età pensionistica da 65 a 67 anni. Nel 2018 le casse previdenziali avevano registrato un surplus di 4 miliardi di euro (era stato di 500 milioni nel 2017), secondo le cifre riportate da Le Figaro. Tuttavia, secondo la Bundesbank, la banca centrale tedesca, queste riserve non sono sufficienti ad assicurare la vitalità del sistema pensionistico in considerazione della pressione considerevole che arriverà a partire dal 2020, anno in cui i nati nel baby-boom archivieranno la loro carriera professionale. Dunque, la Bundesbank ha raccomandato al governo tedesco di Angela Merkel di elevare l’età della pensione considerando anche l’effetto del declino demografico. Ma il partito della cancelliera rifiuta di riaprire il dossier pensioni fino a quando non sarà stata normata la situazione dei lavoratori che non possono lavorare fino a 67 anni per motivi di salute o perché fanno lavori gravosi.

Secondo i calcoli della banca federale, i nati nel 2001 dovranno lavorare fino al 2071, cioè fino all’età di 69 anni e quattro mesi per beneficiare di una pensione piena tenendo conto dell’allungamento della durata della vita e dell’evoluzione demografica del Paese. Le proiezioni impongono, secondo la Buba, di lavorare all’incirca un mese in più ogni anno a cominciare dal 2032. Diversamente, l’ammontare delle pensioni dovrà forzatamente diminuire. Attualmente, il montante di una pensione a tasso pieno è di circa il 48% dell’ultimo stipendio. Pur applicando la raccomandazione della Buba, la situazione non migliorerà, dal momento che un dipendente che lascerà il lavoro nel 2070, a 69 anni, avrà una pensione del 43% rispetto allo stipendio, a meno di aumentare in parallelo il montante dei contributi, limitato oggi al 20%. Senza l’allungamento della durata lavorativa, la percentuale scenderebbe al 40% dell’ultimo stipendio.
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