I dati dell’Ufficio studi del Consiglio di stato. Nel 2018 sospesi solo 776 bandi su 238.101
Le gare valgono 141 mld. Tasso di contenzioso all’1,5%
Pagina a cura di Francesco Cerisano
Dimezzato il tasso di contenzioso in materia di appalti. Nel biennio 2017/2018 la quota di procedure di gara finite nelle aule della giustizia amministrativa si è attestata all’1,4% nel 2017 e all’1,50% nel 2018. Un dato sensibilmente inferiore rispetto alle percentuali di impugnazione fatte segnare nel biennio precedente quando i bandi contestati in giudizio avevano toccato quota 2,61% nel 2015 e 2,76% nel 2016. Rispetto al 2015-2016 il numero delle gare si è raddoppiato (si è passati da 136.645 procedure nel 2015 al picco del 2017 quando si sono registrate 255.151 gare) seppur con una leggera flessione fatta segnare nel 2018 quando si è assistito ad una riduzione dei bandi, scesi a quota 238.101, ma cresciuti come valore complessivo (da 133, 4 a 141, 3 miliardi di euro). E’ quanto emerge dall’analisi sull’impatto del contenzioso amministrativo in materia di appalti nel 2017-2018 elaborata dall’Ufficio studi e dagli Uffici statistici del Consiglio di stato.
Palazzo Spada ha evidenziato due dati su tutti. Il primo: la crescita esponenziale dei bandi non è stata accompagnata da una proporzionale crescita degli importi, segno che ad aumentare numericamente sono state soprattutto le procedure di piccolo importo. La seconda riflessione il Consiglio di stato la dedica al numero delle gare impugnate dinanzi al Tar. Nel 2017 sono stati impugnati 3.457 bandi su 255.151 (1,4%), nel 2018 3.603 a fronte di 238.101 procedure (1,5%). Rispetto al biennio precedente il tasso di contenzioso è calato del 50% e secondo i giudici amministrativi le ragioni sono molteplici: la crisi economica, la perdita di appeal e gli elevati costi del contenzioso, ma soprattutto l’introduzione del rito superaccelerato (ossia l’onere, per le imprese concorrenti, di impugnare entro 30 giorni le ammissioni e le esclusioni dalle gare) introdotto dalla riforma del 2016 e, tuttavia, recentemente abrogato dal decreto legge sblocca cantieri (dl n.32/2019 convertito nella legge n.55/2019). Una misura discussa, potenzialmente lesiva del diritto di difesa delle imprese in quanto costituisce un onere da assolvere quando ancora non c’è alcuna certezza per l’impresa in ordine alla futura graduatoria. Secondo il Consiglio di stato, tuttavia, non può escludersi che il rito superaccelerato «abbia nei fatti disincentivato il contenzioso, soprattutto per gli appalti di fascia bassa, cresciuti espondenzialmente nel 2017 e 2018».
Come immaginabile, sono le procedure di maggiore importo a essere maggiormente contestate. Le impugnazioni dei bandi sopra il milione di euro rappresentano infatti il 50% del totale. Per gli appalti di minore importo le percentuali di impugnazione scendono sensibilmente. Per esempio nei bandi di valore compreso tra 200 mila euro e il milione di euro il tasso di impugnazione è del 20%. Ultima curiosità sull’effetto delle sospensive disposte dai Tar rispetto al complesso degli appalti banditi. Nel 2017 la percentuale di blocco è stata dello 0,33% (0,35% se si tiene conto anche degli appelli in Consiglio di stato), nel 2018 dello 0,31% (0,32% considerando le sospensive disposte da palazzo Spada). Un dato a giudizio del Cds «così basso da essere ritenuto assolutamente fisiologico», ma che non tiene conto della cosiddetta «sospensiva impropria», ossia l’effetto bloccante connesso non alle pronunce ma alla semplice pendenza in giudizio. Tale blocco, osserva l’Ufficio studi del Consiglio di stato, «cresce al crescere dell’importo degli appalti», al punto che «sino a quando il giudizio non si è definitivamente concluso, negli appalti di grande importo molte amministrazioni non procedono alla stipula del contratto temendo di essere esposte a una possibile responsabilità patrimoniale ed erariale».
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