di Leonardo Comegna
La crisi affama le pensioni. La scarsa crescita del Pil, infatti, si ripercuote sulla rivalutazione dei contributi versati all’Inps, che serviranno un domani a calcolare la pensione. L’ultimo dato fornito dall’Istat, e reso noto con un comunicato del 25 ottobre del ministero del lavoro, riguarda i contributi versati nel 2018: la rivalutazione avverrà al tasso dell’1,018254. Questo significa che mille euro di contribuzione accantonata nell’anno 2018, utile per il nuovo calcolo della pensione con il sistema contributivo (introdotto dalla legge n. 335/1995, riforma Dini), nel 2019 valgono soltanto 1.020 euro. È il magro frutto della variazione media del prodotto interno lordo (Pil) nominale (i risultati non certo eclatanti del Pil sono sotto gli occhi di tutti) verificatasi nell’ultimo quinquennio. Ma vediamo di spiegare meglio di cosa si tratta.
I maggiori interessati al nuovo criterio di calcolo della rendita sono i giovani. Il meccanismo del metodo «contributivo» è abbastanza semplice. Tre i parametri cui fare riferimento: la retribuzione, la cosiddetta aliquota di computo e il coefficiente di trasformazione del montante contributivo. In poche parole, con il versamento dei contributi il lavoratore accantona il 33% (aliquota di computo dei dipendenti) della propria retribuzione (il 24% del reddito gli artigiani e commercianti). Il conto contributivo viene rivalutato annualmente sulla base della dinamica quinquennale del Pil (il prodotto interno lordo). Alla data del pensionamento, al montante accumulato, la sommatoria dei versamenti effettuati e rivalutati, si applica un coefficiente di conversione correlato all’età. Occorre aggiungere che i coefficienti di trasformazione di cui sopra sono stati recentemente rivisti (al ribasso) proprio con decorrenza 2019: 4,790%, per chi sceglie di lasciare il lavoro a 62 anni (per incassare «quota cento»), al 5,245% per chi resiste fino a 65 anni e al 5,604% per chi decide di arrivare fino a 67 anni.
Come si è detto, il montante si ricava applicando alla base imponibile (retribuzione, o reddito) l’aliquota di computo: 33% per i lavoratori dipendenti, 24% per gli autonomi e 31% per i co.co.co. iscritti alla Gestione Separata Inps. La somma così ottenuta si rivaluta su base composta al 31 dicembre di ogni anno, con esclusione della contribuzione dello stesso anno, al tasso di capitalizzazione dato dalla variazione media quinquennale del prodotto interno lordo (Pil) nominale, calcolato dall’Istat. La nota ministeriale di cui sopra, sulla base dei dati Istat, ha comunicato il tasso di capitalizzazione (1,018254, media quinquennio precedente), indice utile per rivalutare il montante maturato alla data del 31 dicembre 2018, che con l’aggiunta degli accantonamenti relativi al 2019 e 2020, serve praticamente a liquidare le pensioni con decorrenza dal prossimo anno.
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