Il danno alla salute o danno biologico consiste nelle conseguenze non patrimoniali derivanti da una lesione dell’integrità psicofisica, suscettibile di accertamento medico-legale
Le conseguenze di una lesione dell’integrità psicofisica, non aventi ripercussioni patrimoniali, sono quelle che incidono sulla validità dell’individuo.
La validità dell’individuo è la sua efficienza sociale, ovvero l’idoneità a svolgere una qualsiasi attività – lavorativa o meno – coerente con la sua età, il suo sesso, le sue conoscenze.
Fra le infinite attività che un individuo valido è in grado di svolgere vi è il lavoro produttivo di reddito.
Ecco spiegata la ragione per la quale i concetti di validità (biologica) e di capacità (lavorativa) si sono detti, poc’anzi, vincolati da un nesso di implicazione unilaterale: la capacità lavorativa presuppone infatti la, e si fonda sulla, validità biologica, mentre non è vera la reciproca.
Una persona invalida potrà infatti pur sempre conservare una residua capacità di lavoro (si pensi a un lavoratore sedentario che patisca l’amputazione di un arto inferiore); mentre una persona divenuta inabile al lavoro, nel senso sopra indicato, è per ciò solo biologicamente invalida.
I concetti appena riassunti costituiscono insegnamento risalente e consolidato della medicina-legale.
Sostenere, pertanto, che la vittima d’un trauma psichico (la Corte d’appello riferisce espressamente dell’esistenza di una lesione) non abbia patito un danno alla salute, ma abbia patito una riduzione della capacità di lavoro, è affermazione insanabilmente contraddittoria, in quanto postula l’esistenza dell’effetto (la perdita della capacità) dopo aver negato l’esistenza della causa (l’invalidità).
La Corte d’appello, infatti, era chiamata inoltre a stabilire se fosse stata corretta o sbagliata la decisione con cui il Tribunale stimò nella misura di 50.000 euro il danno alla salute psichica patito dall’attore.
Per la stima di tale danno, nel corso del giudizio di primo grado era stato nominato un consulente tecnico medico-legale, cui venne chiesto di stabilire se l’attore avesse patito un danno alla salute permanente, e di che entità.
Il consulente tecnico medico-legale, anche sulla scorta del parere di un ausiliario psicologo, concluse che la vittima, in conseguenza della perdita contemporanea della moglie e dei due figli, aveva patito un disturbo depressivo maggiore cronico, e che questa malattia comportava una riduzione della validità biologica del 50%.
La Corte d’appello, nonostante queste conclusioni, ha tuttavia negato che la lesione patita comportasse una incidenza sulla complessiva integrità psicofisica del danneggiato.
Ora, se è indubbio che la Corte d’appello non era affatto vincolata alle conclusioni del consulente, e restava sovrana nel decidere di disattenderle, non è men vero che una scelta di quest’ultimo tipo avrebbe richiesto una adeguata esposizione delle ragioni che la giustificavano.
La motivazione adottata dalla Corte d’appello, e sopra trascritta, genera invece nel lettore un irresolubile dubbio, giacché delle due l’una:
- se la Corte d’appello avesse inteso disattendere le conclusioni del c.t.u., nella parte in cui ha ritenuto che G.C. fosse invalido al 50%, essa non ha esposto le ragioni di tale dissenso;
- se, al contrario, la Corte d’appello avesse inteso condividere le conclusioni del consulente d’ufficio, essa non ha esposto le ragioni per le quali non ha liquidato il danno biologico in coerenza con le indicazioni dell’ausiliario.
Corte di Cassazione, sez. III Civile, ordinanza del 5 luglio 2019 n. 18056