Qualora il lavoratore chieda il risarcimento del danno patito alla propria integrità psicofisica in conseguenza di una pluralità di comportamenti del datore di lavoro e dei colleghi di lavoro di natura asseritamente vessatoria, il giudice del merito, pur nella accertata insussistenza di un intento persecutorio idoneo a unificare tutti gli episodi addotti dall’interessato e quindi della configurabilità di una condotta di mobbing, è tenuto a valutare se alcuni dei comportamenti denunciati esaminati singolarmente, ma sempre in sequenza causale – pur non essendo accomunati dal medesimo fine persecutorio – , possano essere considerati vessatori e mortificanti per il lavoratore e, come tali, siano ascrivibili a responsabilità del datore di lavoro, che possa essere chiamato a risponderne, nei limiti dei danni a lui imputabili.
Cassazione civile sez. lav., 20/06/2018 n. 16256