Piazzetta Cuccia non vuole minusvalenze dalla cessione del 3% della compagnia. La vendita prevista entro giugno 2019. L’ad Nagel: bene il rafforzamento dei soci italiani a Trieste. Fisiologico l’assottigliamento del patto. Al 30 settembre risultati superiori alle attese degli analisti
di Luca Gualtieri
La forte flessione del listino italiano impone prudenza agli intermediari finanziari e Mediobanca sta vagliando con estrema attenzione la tempistica della discesa dal 13 al 10% nel capitale delle Generali prevista dall’attuale piano industriale. La vendita del 3% non è del resto una mossa obbligata, ma un’opportunità che Piazzetta Cuccia potrebbe cogliere entro il prossimo giugno anche in seguito al venir meno (alla fine di quest’anno) delle agevolazioni concesse dal cosiddetto compromesso danese. «Non vendiamo registrando una minusvalenza, anche se devo dire che i nostri valori di carico e le nostre aspettative di prezzo non sono lontani anni luce dal prezzo attuale», ha spiegato ieri l’amministratore delegato Alberto Nagel presentando i risultati al 30 settembre. «Il prezzo attuale (14,05 euro, che esprime un valore di mercato della quota di 2,82 miliardi rispetto a un book value di 3,1 miliardi, ndr) non va bene, ma non deve raddoppiare per andare bene», ha aggiunto il banchiere. Proprio in questi giorni l’attenzione del mercato è concentrata sulle mosse dei soci italiani di Generali che si stanno posizionando in vista dell’assemblea 2019. Gli acquisti di Francesco Gaetano Caltagirone (4,54%) e Leonardo Del Vecchio (3,43%), entrambi soddisfatti della gestione dell’amministratore delegato Philippe Donnet, sono stati salutati positivamente da Nagel: «Da italiano non posso che osservare con favore che altri gruppi italiani importanti manifestino apprezzamento del potenziale di Generali ».
L’ad ha peraltro precisato che gli acquisti di queste settimane sulla compagnia sono «frutto di singole decisioni. Non ci sono programmi condivisi tra gli azionisti e ognuno si muove rispettando la propria autonomia». Quanto invece agli assetti proprietari di Mediobanca , Nagel non ha mostrato preoccupazione per l’imminente scioglimento del patto di sindacato dopo la disdetta data a fine settembre da Vincent Bolloré: «Se i soci si organizzeranno o meno in un patto light, noi continueremo a lavorare con l’impostazione che conoscete e che entrambe le famiglie di azionisti hanno appoggiato e favorito. Da questo punto di vista non cambia nulla nell’azione del management».
Intanto nel trimestre Mediobanca ha registrato risultati superiori alle attese del mercato. La merchant ha registrato un utile netto di 245,4 milioni, in calo del 18,4% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno a causa dell’assenze di plusvalenze relative a cessioni di azioni. I ricavi sono aumentati del 6,6% a 637,7 milioni (630 milioni la stima del consensus), con margine di interesse a 344,1 milioni (+3,7%) e commissioni e altri proventi netti a 155,1 milioni (+12,1%). Molto buoni i livelli di qualità dell’attivo e di capitale con un npl ratio al 4,5% e un Cet1 fully loaded al 13%. Sempre sul fronte patrimoniale l’esposizione sulla quota in Generali è coperta dal rischio contagio dell’allargamento dello spread tramite la deduzione già effettuata dal Cet1 all’80%.
Tornando a Nagel, l’ad è intervenuto anche sulla vicenda Ieo e sulle proposte avanzate da Del Vecchio a mezzo stampa: «Siamo disponibili a valutare ulteriori progetti di allargamento, come quello attribuito a Delfin, a patto che abbiano la stella polare nell’eccellenza medica applicativa e scientifica e che non alterino l’assetto di governance e azionario che vede queste due realtà indipendenti e sostanzialmente non scalabili», ha concluso Nagel. (riproduzione riservata)
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