Risparmio. Verrebbe meno uno strumento nato per finanziare le Piccole imprese. Per evitare il pericolo ai Piani servono soglia minima di investimento al 60% nelle pmi oppure fondi chiusi agevolati
di Teresa Campo
Lo strumento è quasi pronto. E la prima accoglienza da parte di risparmiatori e addetti ai lavori appare positiva nei confronti dei cosiddetti Btp esentasse. Si tratta dei nascenti Cir (Conti individuali di risparmio) di cui, come anticipato da MF-Milano Finanza lo scorso 8 settembre, il Governo sta studiando il lancio e che potranno investire solo in titoli di Stato. Obiettivo: aumentare l’affezione dei privati per i titoli di Stato, rimpolpando quel 5% oggi nelle loro mani. Come tutti i nuovi strumenti anche i Cir vanno però esattamente calibrati per evitare effetti collaterali, soprattutto a carico dei cugini Pir, i Piani di risparmio lanciati due anni fa per convogliare risorse verso le piccole e medie imprese e che grandi soddisfazioni hanno finora dato in termini di raccolta. Entrambi del resto si basano sul un medesimo principio di fiscalità molto agevolata per attrarre i risparmiatori. Oggetto dell’investimento dei Cir saranno titoli di Stato e similari emessi ad hoc (i cosiddetti bond infrastrutture), acquistati in emissione e tenuti fino a scadenza. Per contro i titolari godranno della non imponibilità dei rendimenti e della deduzione del 23% delle cifra investite (fino a 90 mila euro complessivi in più anni). I Cir non saranno inoltre soggetti a imposte di donazione e successione (a patto di vincolare le somme per almeno 18 mesi), né saranno aggredibili dai creditori.
Proprio i vantaggi fiscali rischiano però di metterli in competizione con i Pir, col rischio di decretare la fine di questi ultimi e quindi di un importante canale di finanziamento alle Pmi. «Nella realtà il denaro dei Pir non è finito alle imprese non quotate, ma soprattutto a quelle quotate, anche su mercati non regolamentati, se non addirittura esteri. Del resto i Pir sono fondi comuni, poco propensi quindi a investire in titoli illiquidi, anche se la legge glielo consentirebbe», sottolinea Assosim. «Per superare la questione basterebbe una modifica alla normativa che imponga ai Pir di investire almeno il 60% del patrimonio nelle Pmi». In alternativa sarebbe utile il ricorso a fondi chiusi, meno sensibili ai trend di mercato perché in genere investimenti e investitori restano fino a scadenza, a patto naturalmente da renderli fiscalmente più appetibili. Anche le possibilità di investimento potrebbero essere ampliate: si potrebbero perfino cartolarizzare i minibond e inserirli nei portafogli di questi fondi chiusi oppure in polizze assicurative. Ovviamente previo placet della Consob. (riproduzione riservata)
Fonte: