Con la borsa in calo può essere utile guardare ai rendimenti A Piazza Affari grazie ai dividendi alcune azioni fruttano quasi il 10% Mentre i bond societari si dimostrano meno volatili dei titoli di Stato
di Roberta Castellarin e Paola Valentini
Aggrapparsi ai dividendi delle azioni o ai rendimenti delle obbligazioni societarie può essere una strada da percorrere in questa fase di turbolenza per Piazza Affari e di rialzo dei tassi sui titoli di Stato. Quanto alle prime, complici i ribassi di borsa, i dividendi sono arrivati a rendere oltre il 9%. Il momento appare propizio proprio per approfittare della forte discesa che ha colpito molti titoli del listino italiano. Anche se la stagione della distribuzione degli utili è lontana (primavera 2019), un assaggio si è già avuto con Eni che il 26 settembre ha pagato l’anticipo dell’acconto del dividendo 2018 di 0,42 euro per azione sugli 0,83 euro totali, in aumento del 3,75% rispetto agli 0,8 sul 2017.
Alla quotazione di 16,3 euro Eni ha un dividend yield (rapporto tra cedola per azione e prezzo del titolo) del 5,07%. Ma quello di Eni non è un caso isolato. Come emerge dalla classifica di MF-Milano Finanza, basata sui dividend yield di Piazza Affari calcolati considerando i dati di consenso (Factset) sui dividendi attesi a valere sul bilancio 2018, sono una cinquantina le azioni che offrono un rendimento superiore al 3,7%, che è il livello di rendimento al quale, sono arrivati i Btp a 30 anni, in questi giorni di crisi politica e spread in forte rialzo.
Yield del 3,9% per Iren, che nel suo nuovo piano industriale al 2023 ha fissato per il 2018 un aumento della cedola del 20% a 0,084 euro (0,07 centesimi nel 2017), con una crescita annua prevista del 10% nei successivi cinque anni. Novità sul fronte della cedola anche nel piano industriale che Ferrari ha presentato a metà settembre. Il gruppo si è dato un obiettivo di ebitda adjusted al 2022 tra 1,8 e 2 miliardi e un pay-out al 30% (quota dell’utile netto distribuito agli azionisti), rispetto al 25% attuale. I ricavi al 2022 sono visti a quasi 5 miliardi. Erano a 3,4 miliardi nel 2017 e supereranno quota 3,8 miliardi nel 2020. L’ebitda adjusted, che l’anno scorso era pari a 1 miliardo, salirà a oltre 1,3 miliardi nel 2020 e arriverà appunto a 1,8-2 miliardi nel 2022.
Intanto, dopo la cessione a fine agosto della divisione plants & paving della controllata statunitense Lane, Salini Impregilo valuta di utilizzare i proventi dell’operazione per erogare una cedola extra, come ha confermato il cfo Massimo Ferrari. «Ci sono diverse opzioni anche relative alle azioni e al loro rendimento», ha spiegato il top manager. «Assolutamente non escludo» una cedola extra. «Ne parleremo in consiglio quando sarà opportuno», ha aggiunto Ferrari. Sulla base di stime di una cedola prevista di 0,075 euro il dividend yield attuale è del 3,7%.
Nei giorni scorsi proprio Salini Impregilo è stata chiamata in causa per il salvataggio di Astaldi, anche se il gruppo non ha preso ancora alcuna decisione in merito. Nel frattempo c’è anche chi nel 2018 potrebbe tornare a remunerare gli azionisti. È il caso di Rcs che tra gennaio e agosto ha visto la sua raccolta pubblicitaria salire del 2% rispetto allo stesso periodo del 2017, mentre su La7 iniziano a sentirsi i benefici effetti del boom di ascolti: il primo semestre si era chiuso con un +1,5%, ma in luglio la raccolta è salita del 4% e in agosto c’è un balzo addirittura del +18% rispetto allo stesso mese 2017. Certo, il periodo estivo non è quello più carico di pubblicità, a livello assoluto vale pochi milioni, però la tendenza è molto buona. «E se le cose in Rcs andranno bene come nei primi sei mesi dell’anno», da detto il presidente di Rcs, Urbano Cairo, «la distribuzione del dividendo potrebbe essere una realtà. Ma è questione che spetta al consiglio di amministrazione e che deve poi essere ratificata dall’assemblea dei soci».
Sul fronte delle banche spicca Banca Farmafactoring (specializzata nella gestione e nello smobilizzo di crediti nei confronti delle pubbliche amministrazioni) con uno yield di ben il 10,1% (cedola prevista di 0,52 euro dagli 0,492 euro del 2017). Il gruppo anche alla fine del primo semestre ha confermato il suo basso profilo di rischio e ha chiuso il periodo con un utile netto rettificato in aumento anno su anno del 5% a 39,9 milioni. Il total capital ratio è risultato pari a 17,2%, al di sopra del target della banca del 15%, e il Cet1 ratio al 12,3%, confermando la solidità patrimoniale del gruppo e la capacità di sostenere organicamente la crescita e, allo stesso tempo, un elevato dividendo. Non solo. L’istituto continua a godere di un profilo di rischio basso: le sofferenze nette rappresentano solo l’1% dei crediti verso la clientela.
Ma nonostante le buone prospettive il titolo, come l’intero comparto bancario, ha sofferto (-19,4% da inizio anno) per via dell’impennata dello spread Btp-Bund che colpisce soprattutto gli istituti più tradizionali. Proprio l’incertezza politica sta spingendo gli analisti a rivedere giudizi e target dei titoli delle grandi banche commerciali. Ad esempio Morgan Stanley ha appena espresso una raccomandazione equal weight (neutro) su Intesa Sanpaolo nonostante il gruppo guidato dal ceo, Carlo Messina, «continui a offrire un potenziale di rialzo attraente grazie a un bilancio forte e alla promessa di pagare dividendi in contanti per i prossimi tre anni». E il titolo della banca di Ca’ de Sass è uno dei più interessanti dal punto di vista del rendimento cedolare. Il suo yield è salito al 9,4% (sulla base di un dividendo atteso di 0,201 euro) dopo che l’azione è scesa del 23% da inizio anno. D’altra parte la banca anche nel nuovo piano industriale al 2021, presentato a febbraio, ha confermato l’attenzione alla remunerazione degli azionisti, a differenza di altri big di settore che sono più in difficoltà perché alle prese ancora con la riduzione delle sofferenze. Intesa Sanpaolo ha registrato nei primi sei mesi del 2018 un utile netto di 2,17 miliardi (decurtati dai 3,5 miliardi di contributo pubblico per l’acquisto delle due banche venete), in crescita rispetto a 1,73 miliardi dello spesso periodo dell’anno scorso. I risultati sono in linea con il piano d’impresa 2018-2021, e di un utile netto superiore ai 3,8 miliardi del 2017. L’istituto ha previsto quindi un aumento dei profitti e un dividendo 2018 in contanti pari all’85% dell’utile, dopo i 10 miliardi erogati nel precedente piano 2014-2017.
Ma nonostante buoni conti e prospettive positive della cedola, il titolo resta sotto pressione perché, come evidenzia Morgan Stanley, Intesa Sanpaolo deve confrontarsi in Europa oggi con banche con caratteristiche simili ma che si trovano in Paesi più solidi economicamente e più stabili sul fronte politico. «Intesa Sanpaolo ha la più alta redditività tra le banche italiane, una politica di dividendi molto attraente con un rendimento sopra la media europea, è leader in molte attività bancarie e di gestione del risparmio e ha una solida e chiara strategia», spiega Citi, che nel frattempo ha ridotto il suo prezzo obiettivo da 3,2 a 2,5 euro proprio per tenere conto del maggior rischio politico in Italia che pesa sulla sua redditività per via del rialzo del costo di raccolta. Un altro gruppo che, anche se in misura minore, risente della dinamica dei Btp, sono le Poste. Il suo yield è oggi del 6,5% a fronte di un dividendo previsto di 0,439 euro.
A valere sul bilancio 2017, quest’anno la società guidata dall’ad Matteo Del Fante ha staccato una cedola di 0,42 euro, in aumento di 2 centesimi rispetto all’esercizio 2016. La politica dei dividendi di Poste Italiane contemplata nel piano industriale quinquennale al 2022 si basa sul livello 2017 di 0,42 euro per azione, con un aumento del 5% l’anno fino al 2020. Dal 2021 in poi è previsto un payout del 60%.
Restando nel comparto finanziario-assicurativo, spicca anche Unipol Sai con un dividend yield del 7,45%, considerata una cedola attesa di 0,15 euro (in aumento dagli 0,145 euro di quest’anno). Il gruppo ha realizzato un risultato netto consolidato di 647 milioni nel primo semestre 2018 (inclusa la plusvalenza da cessione della partecipazione in Popolare Vita per 309 milioni) a fronte dei 282 milioni nello stesso periodo 2017. Anche sul capitale della compagnia presieduta da Carlo Cimbri pesa il rialzo del differenziale Btp-Bund, il titolo comunque ha retto e da inizio anno segna una performance del 3,3%. Proprio l’aumento dello spread verso quota 300 punti base ha acceso i riflettori anche sui corporate bond.
Infatti, mentre i Btp sono stati colpiti da un’ondata di vendite, le obbligazioni societarie (corporate bond) hanno tenuto la rotta. «La volatilità dei titoli governativi italiani si è confermata notevolmente più elevata rispetto a quella degli emittenti corporate domestici. L’allargamento dei credit spread ha invece interessato le emissioni bancarie senior non garantite e subordinate», spiegano gli analisi di Equita Sim. Nel secondo trimestre 2018, secondo i calcoli dell’ufficio studi della sim, un allargamento di 106 punti base dello spread ha determinato una riduzione media del common equity delle banche quotate di circa 38 punti base. «Situazione molto più stabile sul segmento dei corporate non finanziario, dove la correlazione con i titoli di stato italiani continua ad essere molto bassa.
Tra gli emittenti che hanno subìto un allargamento dei credit spread segnaliamo Atlantia e Telecom Italia», ma in entrambi i casi i titoli hanno sofferto per le specifiche vicende delle due società. Sempre restando tra le aziende che stanno affrontando situazioni straordinarie, Equita sottolinea «l’importante rialzo delle quotazioni del bond Safilo maggio 2019 grazie alla proposta di aumento di capitale da 150 milioni, mentre Astaldi continua nella fase di discesa delle quotazioni dei due bond 2020 e 2024 a causa della decisione della società di rinviare la semestrale e accedere al concordato in bianco». Al di là delle situazioni particolari, questa fase di maggiore nervosismo sul segmento dei titoli di Stato è destinato a continuare, come rileva Andrea Iannelli, investment director obbligazionario di Fidelity International, che in merito alle decisioni del governo italiano sul deficit di bilancio. afferma: «il mercato dei Btp rimarrà volatile, e sarà influenzato non poco dai commenti e annunci che emergeranno dalle negoziazioni con la Commissione europea. Lo spread Btp-Bund rimarrà sotto pressione. In questo contesto il mercato del credito è meglio posizionato per navigare la volatilità che ci aspetta, anche nel caso di un downgrade di un notch da parte delle società di rating», dice Iannelli.
In particolare Iannelli ricorda che «Per quanto il credito corporate italiano non sarà certo immune alle sorti del Btp, la correlazione tra il mercato governativo e quello del credito sono scese nelle ultime settimane. Gli spread creditizi hanno in effetti reagito in maniera piuttosto ordinata all’annuncio del budget, senza segnali di panico evidenti. Ai livelli attuali, gli spread investment grade (ad alto merito di credito, ndr) europei hanno già scontato buona parte delle sorprese che abbiamo avuto dal budget. Offriranno un cuscinetto importante a supporto dei total returns nei mesi incerti e volatili che ancora ci attendono».
Marzotto sim ha elaborato per MF-Milano Finanza una selezione di corporate bond italiani che hanno un rendimento dal 3% in su. «Ripercorrendo gli ultimi mesi abbiamo notato come le mosse del nuovo esecutivo abbiano influito più sulla curva dei rendimenti sovrani che sulla curva dei rendimenti corporate italiani», sottolinea Giacomo Alessi, analista di Marzotto sim. «Questo effetto è abbastanza inusuale in quanto il debito pubblico è da sempre considerato meno incline al default rispetto al debito corporate». Secondo Alessi questa anomalia è riconducibile principalmente a due fattori. «Il primo è che in una remota ipotesi di uscita dall’euro un emittente sovrano ha la capacità di ridenominare parte del proprio debito in una nuova (vecchia) moneta mentre, un emittente privato non avrà tale diritto se non previsto dal prospetto», dice Alessi.
La seconda ragione riguarda il trattamento riservato dal mercato verso il debito corporate. «Attraverso il programma Cspp (corporate sector purchase programme) la Bce ha esteso il Quantitave easing ai titoli corporate europei Investment grade e da allora tale segmento viene percepito dal mercato in modo disinteressato dal rischio Paese se non per emittenti strettamente legati come per esempio gli emittenti del settore delle telecomunicazioni», continua Alessi, «Aggiungiamo inoltre che, i titoli corporate essendo meno liquidi reagiscono più lentamente a dinamiche esogene rispetto ai titoli sovrani e che, proprio in seguito al Cspp tale segmento è diventato estremamente caro».
Fatte tali premesse Alessi ricorda che risulta essere abbastanza ristretta la scelta di un investitore che vuole immagazzinare un rendimento maggiore al 3% nel proprio portafoglio cogliendo opportunità dal settore senior corporate italiano. «Come notiamo la selezione (vedere tabella) presenta emittenti con motivazioni specifiche di rendimento superiore alla media: Autostrade per l’Italia investita dalle polemiche riguardanti il crollo del ponte a Genova, Salini Impregilo e Ansaldo energia sofferenti per le esposizioni verso Paesi emergenti, Kedrion per mancanza di rating e i finanziari in genere per l’esposizione verso titoli di Stato. Ultima osservazione riguarda il titolo Ubi 2023 che fa parte della nuova dicotomia dei Nps (Non-preferred Senior)», conclude Alessi.
Ma anche dal punto di vista dei titoli di Stato il sell-off ha aperto delle opportunità di ingresso. «Apriamo un sovrappeso sui titoli di Stato italiani a due anni rispetto alla liquidità. Sconsigliamo invece di detenere un’esposizione concentrata in titoli di Stato Italiani a lungo termine», dice un report di Ubs Gwm. Ma con un avvertimento da parte di Matteo Ramenghi, il cio italiano di Ubs Gwm: «L’indicazione va bene per chi non ha già un’ampia esposizione sull’Italia»
Da maneggiare con cautela i titoli high yield. Nei giorni scorsi S&P ha tagliato il rating di Astaldi a D da CCC-, il livello più basso di merito di credito. Ma Astaldi non è l’unica società emittente a soffrire a causa di condizioni di mercato non facili per i bond high yield. «Da inizio anno l’allargamento dello spread ha portato a piccole perdite in conto capitale a malapena compensate da cedole relativamente basse (in media del 3,2%) e questo ha portato il total return a un anemico 0,22%. Noioso e poco eccitante? Sì, ma solo se ci si sofferma alla prima impressione.
I trend sottostanti sono ben più interessanti e rilevanti per gli investitori», dice James Tomlins, gestore di M&G. Tomlins ricorda che ogni anno il mercato degli high yield tende ad avere alcuni emittenti che devono affrontare crolli dei prezzi severi e che evitare questi titoli è una delle abilità che deve avere un bravo gestore obbligazionario, ma «mi sembra che il numero e la gravità di questi movimenti sia stata maggiore quest’anno». La prova si trova nella tabella in pagina che riepiloga i dieci titoli high yield europei che si sono deprezzati di più da inizio anno (in base ai dati del primo ottobre). Da questa tabella emerge come retail e costruzioni spicchino come i settori più interessati al fenomeno. «Il primo è minacciato dallo shopping online come dimostrano i nomi delle catene Debenham, il retail dei cosmetici tedeschi Douglas e la francese Ikks, che hanno continuato a sottoperformare perché sempre più consumatori preferiscono fare acquisti con un click, piuttosto che andare fisicamente nei negozi», dice Tomlins. Che aggiunge: «Questo non dovrebbe accigliare troppo gli investitori perché questo trend negativo del settore è conosciuto da tempo e la discesa dei prezzi non è stata rapida, ma graduale».
Diverso è stato per il settore delle costruzioni. «La velocità e la severità della caduta dei prezzi dei bond Astaldi e Cmc Ravenna sono avvenute in un breve lasso di tempo e in modo più brusco. Queste società sono state penalizzate da risultati deludenti e, nel caso di Astaldi, di un aumento di capitale non andato in porto», dice Tomlins. Aggiunge Tomlins: «Qui vediamo il rischio del precipizio in tutta la sua portata e questo suggerisce che il crollo può essere improvviso e non sempre legato a trend fondamentali che proseguono da lungo tempo».
Secondo Tomlins sono due i fattori che devono preoccupare gli investitori. Tomlins ricorda che, dato il protratto periodo di rendimenti relativamente bassi e lo scenario di tassi bassi in generale, anche un piccolo cambiamento della view del mercato su un credito può generare una grande caduta dei prezzi. In passato rendimenti più alti e cedole più generose facevano da cuscinetto perché il flusso cedolare aveva un ruolo chiave nel total return. «Al contrario oggi il mercato si basa su attese positive per quanto riguarda i fondamentali e se c’è una delusione per qualsiasi ragione il prezzo crolla in modo drammatico», avverte Tomlins.
Il secondo elemento riguarda il contesto dei bassi rendimenti crea un altro rischio: «molti di questi bond possono vedere i loro prezzi stabilizzarsi quando gli investitori marginali, come quelli che puntano sui titoli distressed, iniziano a vedere valore. Visto che questi investitori tendono a vedere un valore solo nelle situazioni di default e non quando i rendimenti salgono, la caduta di prezzo di un bond performing che rende poco fino a raggiungere il livello di un bond non performing può essere notevole», dice Tomlins. La sua conclusione a è che «ottenere un extra rendimento di 50-100 punti base qua e là può esporre al rischio di subire un crollo di prezzo del 25% di una singola emissione. Il mercato degli high yield ora più che mai richiede notevole selettività». (riproduzione riservata)
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