di Paola Valentini
La Svizzera è il Paese che ha fatto di più per coprire i suoi cittadini di fronte al gap pensionistico quando si ritireranno. Emerge dal primo “International Pension Gap Index” del chief investment office di Ubs Wealth Management, che analizza i sistemi pensionistici obbligatori in 12 città di altrettanti Paesi, dal Nord America all’Europa fino all’Asia-Pacifico. Il report calcola la percentuale dell’attuale reddito netto che una donna di 50 anni deve risparmiare privatamente, in aggiunta alla pensione pubblica, per garantirsi un adeguato standard di vita una volta raggiunta la pensione. Dallo studio emerge infatti che in nessun caso ci si può affidare esclusivamente al sistema pensionistico obbligatorio per finanziare il proprio costo della vita una volta in pensione.
La Svizzera occupa la prima posizione del Pension Gap index. Tra le città che Ubs ha analizzato infatti, a Zurigo la lavoratrice può contare su un sistema pensionistico obbligatorio che, a oggi, le permette uno standard di vita migliore. Qui la quota del reddito da accontonare ogni mese per mantenere lo stesso tenore nel pensionamento è dell’11%. I risultati dell’Asia-Pacifico sono contrastanti: l’Australia (37%) e Singapore (38%), nonostante occupino la seconda posizione della classifica mondiale, sono abbastanza distanti dalla Svizzera, mentre Giappone (148%), Hong Kong (153%) e Taiwan (157%) ricoprono le ultime posizioni. I requisiti di risparmio in Francia (39%), Germania (40%), Italia e Regno Unito (47%) sono quasi quattro volte più elevati rispetto alla Svizzera. Negli Stati Uniti e in Canada, invece, bisogna risparmiare più della metà del reddito attuale (rispettivamente il 49% e il 62%).
Le città utilizzate come case study sono Londra (Regno Unito), Monaco (Germania), Parigi (Francia), Milano (Italia), Zurigo (Svizzera), New York (USA), Toronto (Canada), Sydney (Australia), Hong Kong, Tokyo (Giappone) e Taipei (Taiwan).
Quanto all’Italia, il Paese si trova in una fase di transizione. Fino agli anni 90 il sistema pensionistico del Paese si basava sul metodo retributivo di calcolo delle pensioni, assegnando ricchi assegni basati sugli ultimi stipendi prima della pensione. Poi a metà anni 90 è entrato in vigore il metodo contributivo, che lega la rendita ai contributi effettivamente versati dal lavoratore ed è in vigore integralmente dal 1996 per chi ha iniziato a lavorare da quell’anno e per chi a quella data aveva meno di 18 anni di contributi, mentre per coloro che avevano più di 18 anni di contributi il retributivo è rimasto in vigore pro-quota fino a fine 2011.
Ebbene in Italia un cittadino che è entrato a far parte del mondo del lavoro prima del 1995, quando ancora doveva essere introdotta la nuova riforma delle pensioni, riusciva a ottenere approssimativamente il 67% del suo stipendio, percentuale decisamente più alta rispetto a quello che i giovani lavoratori, coloro che sono entrati sul mondo del lavoro dopo il 1995, possono stimare in base alla nuova riforma.
In questo caso la pensione viene calcolata facendo una fusione tra i due sistemi. Questo vuol dire che adesso questo lavoratore è costretta a risparmiare, al mese, circa il 41% del suo reddito per riuscire ad assicurarsi che la pensione copra i bisogni basilari della sua vita a Milano. La quota non comprende l’eventuale tfr versato al fondo pensione, che si ipotizza sia mantenuto in azienda.
Per i lavoratori più giovani, la somma integrativa versata in un fondo privato dovrebbe compensare la riduzione dell’importo che ricevono dal sistema pensionistico pubblico. L’Italia, come molti altri Paesi europei, ha tenuto conto del fatto che l’aspettativa di vita sta aumentando. Per legge, l’età pensionabile aumenterà a 67 anni entro il 2021. L’aspettativa di vita delle donne è di 88 anni. Questo rende il periodo durante il quale riceverà la pensione relativamente breve, ovvero 22 anni.
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