Le politiche di welfare aumentano l’impegno dei lavoratori
Pagina a cura di Sabrina Iadarola
In origine c’era il buono pasto. Più tardi sono nati altri servizi: dai trasporti alle cure mediche, dallo smart-working ai benefit per il tempo libero, dagli asili alle borse di studio. Tutti rientranti nel cosiddetto welfare aziendale, ovvero opere o servizi erogati dal datore al lavoratore per aumentarne il benessere economico e sociale. Tema quanto mai attuale, che evolve velocemente. Tanto che si è arrivati a parlare di Welfare 4.0 nelle aule universitarie (alla Luiss si svolgerà il primo seminario sul tema). In gran parte grazie alla Legge di Stabilità 2016, che ha fatto rientrare tali misure tra i servizi detassati per il datore di lavoro e che non concorrono all’imponibile del dipendente (o collaboratore coordinato e continuativo). È quel che emerge dal Rapporto Welfare 2016 elaborato da OD&M Consulting, società di GiGroup specializzata nella gestione e valorizzazione delle risorse umane. Dallo studio effettuato su un campione di 206 aziende e 255 lavoratori, il 44% delle aziende risulta avere già implementato un piano di Welfare aziendale, mentre il 41% ha intenzione di attivarlo entro i prossimi due anni. In sostanza l’interesse sul tema del Welfare coinvolgerebbe in percentuale 85 imprese su 100. Un aumento di interesse dettato, di fatto, nel 74% dei casi dalle semplificazioni e dagli incentivi previsti dalla legge e più in generale dall’attenzione delle aziende verso la Corporate Social Responsability, visto che l’interpretazione del welfare aziendale viene percepita spesso come una delle dimensioni di applicazione della responsabilità d’impresa.
I lavoratori (e talvolta anche le imprese) al welfare aziendale non ci credono. Sono pochi coloro che pensano che il piano di welfare sia stato implementato avendo come effettiva priorità quella di prendersi cura dei loro bisogni, mentre sono molto di più i lavoratori inclini a pensare che l’azienda abbia voluto utilizzare questa leva per contenere i costi del personale (59,7%) e aumentare la performance attraverso una nuova spinta motivazionale (50,8%). Ovviamente l’argomento interessa prevalentemente le grandi aziende, le multinazionali. Le Pmi, al contrario, faticano un po’ ad attivare strumenti di welfare aziendale, sia per questioni economiche che organizzative. Eppure i vantaggi potrebbero essere tanti, non solo per i dipendenti ma anche per le aziende stesse. Con l’attivazione di strumenti di welfare, grazie allo sviluppo di motivazione e produttività dei lavoratori, la gestione organizzativa migliora, i costi diminuiscono: uno studio di Mckinsey Italia pubblicato da Adapt, associazione per gli studi internazionali e comparati sul diritto del lavoro, dimostra che le aziende che hanno implementato politiche di welfare presentano un indice di impegno del lavoratore più alto. Tra i vantaggi la maggiore soddisfazione dei lavoratori (+16%), il maggior impegno e dedizione (+6%), una retention più elevata (+16%), infine una migliore percezione dell’immagine aziendale (+12%). Anche per gli Hr manager di Aidp intervistati per la ricerca «Il futuro del welfare aziendale dopo la legge di stabilità 2016», condotta da Luca Pesenti dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano per Welfare Company, società di Qui! Group specializzata in soluzioni di welfare aziendale e pubblico, il welfare ha effetti positivi sul clima aziendale: riduce la conflittualità (utile per il 62% degli intervistati), attrae i talenti (per il 52% degli intervistati), riduce il turnover (47,7%) e l’assenteismo (39%). «Sette aziende su 10», ha spiegato Chiara Fogliani di Welfare Company, «non introducono piani di welfare perché temono sia oneroso dal punto di vista economico e gestionale. Ma è un mito da sfatare: grazie agli sgravi fiscali, 1.000 euro che un’azienda eroga sotto forma di servizi di welfare invece che in prestazione in contanti comportano un risparmio di 350 euro per l’azienda e 180 euro in più in busta paga per il dipendente, che ottiene un beneficio ”netto”».
Tempo al tempo, le imprese, anche piccole e medie, imparano in fretta. E il confronto tra i dati attuali e quelli risultanti da una ricerca sulla diffusione delle misure del welfare aziendale contrattuale in Italia del Cnel del 2014 (ovvero a distanza di meno di due anni) su un campione di 300 grandi imprese del nord, del centro e del sud con di più di 250 dipendenti (oltre ad un focus di 8 piccole e medie imprese rappresentative di Lombardia, Lazio e Puglia) – in ogni caso fa ben sperare. Lo scenario passato mostrava infatti che solo il 14% delle imprese considerate aveva addirittura potuto fornire dati utili alle finalità della ricerca, mentre nell’86% dei casi non risultava presente alcuna attività di welfare.
Servizi tarati sulle esigenze della persona
Quali servizi di welfare può offrire un’azienda ai propri dipendenti? Premesso che l’impresa può scegliere di pagare un premio di produttività o di risultato ai lavoratori sotto forma di voucher per servizi di welfare – con il vantaggio, appunto, che in questo caso la somma è completamente esente dalle tasse (nel senso che non si paga nemmeno il 10% di aliquota agevolata prevista per i premi di risultato) – per avere un quadro completo dei servizi partiamo dalla legge di Stabilità.
In particolare dall’articolo 6 del decreto attuativo che disciplina l’erogazione di premi attraverso servizi di welfare. I servizi sono quelli previsti dal comma 2 dell’articolo 51 del testo Unico delle imposte sui redditi (Dpr 917/86), quindi: contributi previdenziali e assistenziali fino a 3.615,20; buoni pasto e servizi di mensa (fino a 5,29 euro in caso di buono cartaceo, fino a 7 euro se il formato è digitale); servizi di trasporto collettivo per i lavoratori; servizi per servizi di educazione destinati ai familiari, come appunto l’asilo, compresi servizi di mensa, ludoteche, centri estivi e invernali, borse di studio; servizi per assistenza a familiari anziani; titoli azionari fino a 4 mila euro annui (con clausola di lockup, quindi non vendibili, per almeno tre anni); beni e servizi fino a 258,30 euro annui.
Come vengono scelti i servizi? Il 78% delle imprese, riprendendo il Rapporto Welfare, tiene conto dei bisogni dei dipendenti attraverso una survey, un focus group o tramite un’analisi socio-demografica. Circa la metà delle aziende permette ai dipendenti di scegliere all’interno di un paniere di servizi, tra di esse il 56% lascia a tutti i dipendenti la possibilità di scelta dei servizi più adatti alle loro esigenze, mentre negli altri casi la possibilità di scelta viene data solo ad alcuni gruppi della popolazione aziendale o limitatamente ad alcuni servizi specifici. Affinché il piano di welfare sia efficace, è importante riuscire a comunicarlo adeguatamente ai propri dipendenti e renderli partecipi. Ce lo conferma Simonetta Cavasin, AD di OD&M Consulting «Il coinvolgimento diretto dei dipendenti e la scelta di servizi rispondenti alle loro reali esigenze hanno sicuramente un ruolo di primo piano. Nella fase di progettazione del piano l’azienda deve instaurare un dialogo coi dipendenti per capirne preferenze e necessità».
Dipendente o azienda, che sia l’uno o l’altro a scegliere, il trend dei benefit riguarda sempre e comunque ristorazione (91,5% delle aziende), assistenza sanitaria e previdenza (78% delle aziende), gestione del tempo – aspettativa/periodi sabbatici non retribuiti, banca ore, flessibilità entrata-uscita, job sharing, part-time, telelavoro – (73,2% delle aziende).
Ai dipendenti piacciono anche i benefit legati alla mobilità: agevolazioni e rimborsi per il viaggio casa-lavoro, buono carburante, car sharing, car pooling, navetta aziendale. In tal senso ascoltare i dipendenti premia: più i servizi rispondono ai bisogni prioritari dei lavoratori e, va da sé, più sono apprezzati.
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