di Rebecca Carlino
Il cantiere sulla revisione della legge Fornero del 2012 si è aperto il giorno dopo il suo varo, ma i vincoli di bilancio hanno reso difficile arrivare a una soluzione per chi ha visto allontanarsi all’improvviso l’appuntamento con la pensione anche di cinque o sei anni. Ora potrebbe essere la volta buona. Governo e sindacati mercoledì 28 settembre hanno concluso un primo accordo sulle pensioni e hanno firmato un documento in cui sono elencati gli interventi previsti in materia previdenziale. Nel testo sono identificate le misure che saranno messe in campo nei prossimi tre anni, fra le quali il cosiddetto Ape, ossia l’anticipo pensionistico.
La soluzione trovata permetterà ai lavoratori italiani di lasciare un po’ prima il lavoro. Certo non più a 58 anni, come una volta; si tratterebbe di un anticipo fino a tre anni e sette mesi rispetto all’età fissata oggi in base ai requisiti per il buen retiro. Visti i vincoli di bilancio pubblico, si è trovata una strada non troppo onerosa per i conti dello Stato, prevedendo di fatto una forma di prestito bancario «ponte» per arrivare al momento in cui scattano i requisiti pensionistici. Chi sceglie quindi di dire addio al lavoro in anticipo accetta di sostenere il costo di interessi e copertura assicurativa, che di fatto potranno rappresentare circa la metà del costo del prestito. Una simulazione elaborata dalla società indipendente Progetica mostra proprio a quanto potrebbe ammontare il costo dell’anticipo e come viene ripartito. In base al sistema attuale chi è nato nel 1954 e ha un reddito mensile di 3.000 euro al momento dell’addio al lavoro, ossia a 66 anni e 11 mesi, potrà contare su un assegno di 2.446 euro netti. Mentre se sceglie l’anticipo riceverà nei primi tre anni 2.150 euro circa, che diventeranno 1.520 durante la restituzione. Il prestito totale che avrà ottenuto sarà di 101 mila euro, di cui circa 51 mila euro sono rappresentati dai costi per tassi e copertura. A questo risultato si arriva con una simulazione che si basa su un tasso del prestito del 2%; se quest’ultimo sale, il costo naturalmente aumenta.
Per le banche il prestito, anche se a tariffa concordata con il ministero, potrà rappresentare un occasione di impiego della liquidità, che ora non manca grazie alla politica monetaria espansiva della Bce. Si trattetterebbe di prestiti personali del tutto particolari perché garantiti sia dalla copertura assicurativa sia dal fatto che il rimborso arriverà di fatto dallo Stato. Nell’operazione infatti l’Inps, guidata da Tito Boeri, dovrebbe svolgere un ruolo centrale certificando il diritto all’anticipo. Tornando alle caratteristiche dell’Ape, l’anticipo potrà essere chiesto da chi ha?almeno 63 anni di età con la maturazione dei requisiti per l’assegno di vecchiaia entro 3 anni e 7 mesi e un importo della pensione non inferiore a un certo limite, ancora da fissare. Ci sono tre tipologie di lavoratori che possono optare per l’Ape: chi vuol lasciare l’impiego prima; chi lo deve lasciare perché in difficoltà (disoccupazione, problemi di salute, necessità di assistere famigliari) rientra nell’Ape agevolata; chi è coinvolto in un caso di crisi o di turnover della propria impresa rientra invece nell’Ape aziendale. A seconda della casistica cambia il modo in cui vengono spalmati i costi.
Durante il periodo dell’anticipo non si riceverà la pensione, ma un prestito erogato in rate mensili da una banca in favore del lavoratore a copertura del periodo che intercorre tra l’anticipo e la maturazione vera e propria della pensione, che scatta al raggiungimento dei requisiti standard di vecchiaia. Una volta raggiunta l’età della pensione, il prestito terminerà e si avvierà la fase del rimborso dello stesso, in rate mensili, per i successivi 20 anni. Quindi ci sono da sostenere il costo del prestito in termini di tasso applicato, il premio assicurativo che deve essere stipulato a copertura del rischio di premorienza del pensionato e gli oneri legati alla natura previdenziale del prestito. Infatti c’è anche un costo legato ai minori contributi versati, che determina una riduzione dell’importo della pensione rispetto a quello a cui si avrebbe diritto se si continuasse a versare i contributi fino al raggiungimento dei requisiti. Infine, per via della maggior speranza di vita, scattano coefficienti di trasformazione del capitale accumulato in assegno previdenziale più severi rispetto al caso del lavoratore che non va in pensione in anticipo.
Per quanto riguarda la ripartizione di tutti questi costi, nel caso dell’Ape agevolata essi saranno interamente a carico dello Stato, fatta eccezione per quelli strettamente previdenziali (i mancati contributi e il coefficiente di trasformazione in rendita). Se invece l’Ape è una scelta volontaria, tutti gli oneri saranno a carico del lavoratore, mentre nel caso di Ape aziendale l’impresa dovrebbe coprire i costi tramite il versamento di contributi che andranno a determinare un incremento della pensione che compenserà l’onere dell’anticipo. Quindi chi lo sceglierà su base volontaria subirà un taglio dell’assegno del 6% per ogni anno d’anticipo, compresi gli interessi bancari e l’assicurazione. Al massimo la penalizzazione arriverà quindi intorno al 21%.
Le simulazioni elaborate daProgetica confermano che, in assenza di bonus e agevolazioni da parte dello Stato, il meccanismo dell’Ape potrebbe comportare per il pensionato una riduzione di ricchezza compresa tra il 7 e il 21% in funzione del numero di mesi anticipati, del reddito e della categoria professionale. «La possibilità di percepire in anticipo l’assegno pensionistico comporta infatti cinque conseguenze: minori contributi versati, un minor coefficiente di trasformazione in rendita, la restituzione della quota capitale del prestito, il pagamento di una quota di interessi e di una polizza assicurativa a copertura del prestito», sottolinea Andrea Carbone di Progetica. «La somma degli interessi da restituire e della polizza assicurativa da pagare in 20 anni è, per i profili simulati, pari a circa la metà del prestito. Ad esempio, per un lavoratore dipendente del 1952, a fronte dell’anticipo di 19 mesi e di un prestito di 24.453 euro, la somma da destinare a interessi e polizza sarebbe complessivamente di 12.267 euro. Per chi non potrà beneficiare di bonus e sgravi fiscali l’Ape avrà dunque un costo, che caso per caso andrà confrontato con i benefici di poter anticipare l’età di pensionamento. Una scelta non solo economica, ma anche di vita».
Nella partita entra poi anche il gioco la previdenza complentare. Nel documento del ministero del Lavoro, guidato da Giuliano Poletti, si sottolinea infatti che il governo si impegna a realizzare un cambiamento normativo e fiscale della previdenza complementare per accrescere la flessibilità di utilizzo di tale strumento, al fine di adeguare le prestazioni della previdenza complementare anche alle necessità della gestione flessibile dell’uscita dal mercato del lavoro. In particolare, si definirà una modalità che consenta al lavoratore che ha maturato un montante in un fondo integrativo di attingere prima dell’età di pensionamento a tale montante, volontariamente e nella misura scelta, per poter usufruire di una rendita temporanea per il periodo che manca alla maturazione del diritto alla pensione (età del pensionamento di vecchiaia). Tale nuova opportunità (chiamata Rita, ossia Rendita Integrativa Temporanea Anticipata) sarà agevolata fiscalmente con una tassazione inferiore a quella attualmente prevista per le anticipazioni e pari a quella prevista sulla pensione complementare erogata in rendita. Il governo si impegna anche a definire strumenti di incentivazione fiscale finalizzati ad agevolare l’utilizzo volontario del Tfr accantonato in azienda o di contributi aggiuntivi per accedere alle prestazione anticipate di previdenza complementare.
Un’altra novità riguarda la la ricongiunzione dei contributi per chi li ha versati a enti diversi avendo cambiato lavoro nel corso della carriera. La ricongiunzione diventerà gratuita per tutti i lavoratori e l’assegno sarà calcolato pro rata, cioè con le regole di ciascun ente di previdenza. Nel documento presentato dal ministero è anche prevista una seconda fase di interventi, che non entreranno nella Legge di Bilancio, ma che riguardano modifiche strutturali più complesse, rispetto ai quali il confronto con le parti sociali dovrà proseguire. Si tratta di interventi che riguardano chi ancora è lontano dalla pensione e dovrà fare i conti con quanto pesano eventuali buchi contributivi, provocati da una carriera discontinua, sull’assegno calcolato con il metodo contributivo. Per questi lavoratori l’idea potrebbe essere quella di valutare l’introduzione di una pensione contributiva di garanzia, legata agli anni di contributi e all’età di uscita, al fine di garantire l’adeguatezza delle pensioni medio-basse. Una parte è poi dedicata all’idea di favorire una maggiore flessibilità in uscita all’interno del sistema contributivo, anche con una revisione del requisito del livello minimo di importo (2,8 volte l’assegno sociale) per l’accesso alla pensione anticipata. Un paragrafo è infine dedicato alla previdenza integrativa, che finora in Italia ha fatto fatica a decollare. Si parla infatti di interventi sulla previdenza complementare volti a rilanciarne le adesioni, a favorire gli investimenti dei fondi pensione nell’economia reale e a parificare la tassazione sulle prestazioni di previdenza complementare dei dipendenti pubblici al livello di quella dei privati. (riproduzione riservata)
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