di Paola Valentini
Amundi esce allo scoperto sulla partita Pioneer. In una nota stamani l’asset manager francese “conferma il proprio interesse in Pioneer, coerentemente con la strategia di crescita presentata in occasione dell’Ipo”.
Ma il gruppo smentisce comunque le valutazioni di Pioneer attribuitele da indiscrezioni di stampa secondo cui la società potrebbe offrire fino a 4,3 miliardi, rispetto ai 3 miliardi di cui inzialmente si parlava. “Amundi ribadisce che la propria politica di acquisizioni segue stringenti criteri finanziari, in particolare un return on investment (Roi) superiore al 10% in un orizzonte temporale di tre anni”.
Amundi, quotata dal novembre 2015, è il più grande asset manager europeo in termini di masse, con oltre mille miliardi di euro gestiti a livello globale.
È la prima volta che uno dei soggetti coinvolti, secondo rumors di mercato, nel deal Pioneer, afferma pubblicamente di voler acquistare la società di gestione di Unicredit . Tra gli altri operatori che, sempre in base a indiscrezioni non confermate dagli interessati, hanno presentato offerte non vincolanti e ora si preparano a presentare quelle vincolanti, la cui scadenza è stata posticipata dal 3 novembre a metà novembre, ci sarebbero anche, come noto, Poste Italiane (in cordata con Cdp e Anima ) e Macquaire.
Una valutazione di Pioneer di 4,3 miliardi corrisponde a circa l’1,9% delle sue masse pari a 227 miliardi di euro. Nonostante oggi il business dell’asset management sia strategico per le banche, si tratta di un valore inferiore di oltre la metà rispetto al 4,4% in base al quale Unicredit nel maggio del 2000, sotto la regia dell’allora ad Alessandro Profumo, acquisi l’americana Pioner che aveva masse per 60 mila miliardi di vecchie lire (circa 30 miliardi di euro) e fu pagata 2.680 miliardi di lire (circa 1,3 miliardi di euro).
Nei primi anni 2000 il polo delle gestioni di Unicredit era l’irlandese Europlus, che contava allora su un patrimonio gestito di 180 mila miliardi di lire (circa 90 miliardi di euro). L’acquisto di Pioneer da parte di Unicredit avvenne pochi mesi dopo lo scoppio della bolla Internet del marzo 2000 quando Wall Street entrò in crisi per le valutazioni gonfiate di molti titoli legati al fenomeno web, allora ancora agli inizi.
In quegli anni, inoltre, il business del risparmio gestito non era così rilevante, come oggi, per le banche, le cui reti erano più concentrate a collocare obbligazioni di propria emissione dei fondi comuni.
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