di Paola Valentini
Alla fine la flessibilità in uscita è stata rinviata: troppi i vincoli di bilancio. Con la legge di Stabilità 2016 non sono state apportate modifiche alla legge Fornero per permettere all’intera platea di lavoratori di andare in pensione prima. Ma il premier Renzi ha comunque voluto fare qualcosa.
In attesa del testo ufficiale della legge presentata dal governo il 15 ottobre, uno dei provvedimenti presi in materia di previdenza riguarda l’estensione della cosiddetta opzione donna, un regime provvisorio che permette alle lavoratrici di andare in pensione in anticipo (35 anni di contributi e 57 anni di età per le dipendenti e 38 per le autonome) ma con penalizzazioni sull’assegno perché questo viene calcolato interamente con il metodo contributivo. Un meccanismo esisteva già e la legge di Stabilità lo ha allungato. Finora, infatti, secondo l’interpretazione della Ragioneria generale dello Stato e dell’Inps, potevano accedere al regime agevolato quelle donne che non soltanto maturavano i requisiti entro fine 2015, ma entro la stessa data dovevano anche completare i mesi della finestra mobile (sono 12 i mesi che nel lavoro dipendente si devono attendere dopo il raggiungimento dei requisiti, per andare realmente in pensione, mentre nel lavoro autonomo si devono aspettare 18 mesi). Con la legge di Stabilità invece il requisito di età e contributi deve essere maturato entro fine 2015, a prescindere dalla finestra.
Introdotta dalla Legge Maroni nel 2004, tale possibilità era stata confermata fino al 31 dicembre 2015 dalla riforma Fornero di fine 2011. Fino ad allora questa opzione non aveva avuto un forte appeal, ma proprio dopo il drastico aumento dell’età della pensione introdotta dall’ex ministro del lavoro del governo Monti, questa strada era stata riscoperta in massa. In sostanza in base alle nuove regole le donne dipendenti che entro il 31 dicembre 2015 hanno 57 anni e tre mesi e le autonome che compiono 58 anni e tre mesi entro la stessa data e detengono almeno 35 anni di contributi possono lasciare il lavoro in anticipo rispetto ai 65 anni e 7 mesi per le dipendenti del settore privato, ai 66 anni e 7 mesi per quelle del pubblico impiego e ai 66 anni e un mese per le autonome previsti dal regime introdotto dalla riforma Fornero.
La decorrenza della pensione viene definita aggiungendo la finestra di 12 mesi per le dipendenti del settore privato e pubblico e sempre di 12 mesi per le autonome. Progetica ha calcolato quanto prenderebbe in meno e di quanti anni sarebbe l’anticipo per le donne che scegliessero tale opzione a seconda dell’anno di nascita e dell’età di inizio contribuzione. «Per le elaborazioni, abbiamo scelto dei profili che abbiano un’età anagrafica e un’anzianità contributiva tale per cui l’anno prossimo non potrebbero raggiungere i requisiti di vecchiaia o di pensione anticipata», afferma Andrea Carbone, di Progetica. I principali esiti? In certi casi sono anche paradossali.
«La data di erogazione dell’assegno pensionistico verrebbe spesso anticipata, anche di sei anni, ma non sempre: c’è un caso limite dove le lavoratrici autonome 58enni che hanno iniziato a 18 anni raggiungerebbero prima il requisito di pensione anticipata del 2017, pari a 41 e 10 mesi, piuttosto che aspettare i 18 mesi previsti dalla finestra a partire da oggi», afferma Carbone, «e dunque in certi casi con l’opzione contributiva si potrebbe andare in pensione dopo o comunque nello stesso anno». In rosso in tabella sono stati indicati i casi nei quali il guadagno è inferiore a un anno, in giallo compreso tra uno e tre anni e in verde oltre i tre. Quanto alla decurtazione della pensione, «l’assegno si potrebbe ridurre tra il 23% e il 60%, con una media del 32% per le dipendenti, e del 51% per le autonome. La minore aliquota contributiva per le autonome rende il fenomeno più evidente rispetto al caso delle dipendenti», prosegue Carbone. «Ogni situazione va valutata attentamente in funzione dell’effettiva storia contributiva, perché pochi mesi di differenza rispetto ai casi simulati in tabella possono cambiare notevolmente gli esiti», afferma ancora Carbone. Premesso che la scelta resta soggettiva, «in certi casi l’opzione contributiva sembrerebbe poco conveniente, a causa dello scarso anticipo temporale, mentre per altri l’opzione potrebbe essere più interessante, perché anticiperebbe di 4-5 anni il momento della pensione, pur a fronte di una sensibile riduzione della pensione», conclude Carbone. Una dipendente di 61 anni che avesse iniziato a lavorare a 22 anni pagherebbe l’uscita anticipata di due anni con il 31% in meno di pensione ogni mese. Un’autonoma di 62 anni con età di inizio contribuzione a 24 anni avrebbe il 57% in meno per un anticipo di poco inferiore a tre anni. (riproduzione riservata)