Il Forum ANIA-Consumatori ha sviluppato una approfondita analisi sul sistema di welfare del nostro Paese e
sulle sue prospettive di sviluppo futuro. Si tratta di un articolato e poliennale percorso di ricerca, elaborato con il coinvolgimento scientifico del Censis al fine di evidenziare le aree di convergenza tra consumatori e imprese assicuratrici su tale delicato tema.
Tappe di questo percorso condiviso sono i rapporti di ricerca dedicati alle condizioni attuali e alle prospettive del sistema di welfare italiano, “Tra nuovi bisogni e voglia di futuro” (2012) e “Le nuove tutele oltre la crisi” (2013), nonché il rapporto “Bilancio di sostenibilità del welfare italiano” (2014-15), dedicato all’obiettivo di analizzare la sostenibilità del welfare.
Sostenibilità intesa non solo nel suo significato tradizionale di sostenibilità finanziaria nei bilanci pubblici, ma nel suo significato più innovativo e concreto di sostenibilità sociale per le famiglie, partendo da un contesto in cui i bilanci familiari subiscono il concomitante peso di redditi in calo – a causa di una situazione economica da anni stagnante, se non in contrazione – e di oneri in crescita per le prestazioni sociali, soprattutto quelle legate all’invecchiamento della popolazione e alle corrispondenti cure di lungo termine.
Frutto di tale percorso è, in primo luogo, la comune constatazione che il sistema attuale non ha la capacità di individuare prontamente i nuovi bisogni e di rispondere a essi in maniera soddisfacente ed efficiente. Esso risulta statico, focalizzato quasi esclusivamente su pensioni e sanità e, soprattutto, non adeguatamente strutturato per rispondere alle esigenze di una popolazione, quella dell’Italia di oggi, che risulta profondamente cambiata, sia dal punto di vista socioeconomico che demografico.
L’attuale sistema comporta inoltre, per le famiglie, un crescente onere economico che si aggiunge a quello della tassazione ordinaria. Esso si caratterizza infatti, rispetto agli altri paesi europei, per la grande diffusione dell’acquisto, da parte dei consumatori, di prestazioni e servizi socio-sanitari pagati “di tasca propria”, cioè al di fuori di qualsiasi schema mutualistico.
In Italia tali spese “di tasca propria” rappresentano il 18% della spesa sanitaria totale, contro il 7% in Francia e il 9% in Inghilterra. Si tratta di una forma inefficiente di spesa, con effetti regressivi. In primo luogo, infatti, determina l’aumento delle differenze nello stato di salute tra ricchi e poveri, con un crescente fenomeno di rinuncia alle cure da parte dei più indigenti.
In secondo luogo, tali forme di spesa colpiscono per l’intero ammontare la singola famiglia, che si trova a dover fronteggiare un esborso anche consistente, spesso inatteso ma indispensabile, con un conseguente aumento della propria vulnerabilità finanziaria.
L’aumento della vulnerabilità della famiglia, intesa come l’esposizione al rischio di non riuscire a far fronte alle esigenze economiche della vita quotidiana, è fenomeno che il Forum ANIA – Consumatori ritiene sintomo di una profonda trasformazione economica e sociale che, negli ultimi anni, ha reso le famiglie molto più esposte a shock inattesi (perdita posto di lavoro, malattia, decesso, incidenti, separazioni e divorzi), che fanno venire meno o riducono le fonti di reddito e/o determinano l’insorgenza di passività impreviste.
Su questo tema di forte interesse sociale, il Forum ANIA-Consumatori ha dato vita, nel 2009, in collaborazione con l’Università degli Studi di Milano, ad un Osservatorio dedicato, sviluppando uno specifico indice volto all’analisi dei fattori che possono aumentare la vulnerabilità economica della famiglia italiana.
Le ultime rilevazioni dell’Osservatorio evidenziano un sostanziale peggioramento di tale indice: dal 2010 al 2013, data dell’ultima rilevazione, l’indice di vulnerabilità aumenta del 17%.
Le proposte del Forum ANIA – Consumatori mirano a promuovere trasparenza, equità, efficienza e affidabilità del sistema italiano di welfare, nonché a stimolare maggiore attenzione verso la prevenzione dei rischi legati alla salute e verso le conseguenze dell’evoluzione demografica del nostro Paese, anche in termini di nuovi gap da colmare, come l’esposizione alla perdita di autosufficienza delle classi di età più anziane, sempre più numerose nella struttura della nostra popolazione.
Tali proposte fanno seguito alla dichiarazione del Comitato Economico Sociale Europeo “Promuovere l’innovazione per il progresso sociale”, alla cui redazione il Forum ANIA-Consumatori ha contribuito. Mirano a coniugare crescita e coesione sociale attraverso un sistema pluralista e multipilastro, in cui opera una molteplicità di soggetti. Un sistema che punta all’equilibrio tra il flusso dei contributi pagati a vario titolo da lavoratori e cittadini e il flusso delle prestazioni erogate, continuando a garantire tutela rispetto ai grandi rischi tradizionali e nel contempo risposte praticabili e sostenibili anche ai nuovi bisogni sociali.
1) Informare i consumatori sulla propria situazione previdenziale
Un’informazione trasparente e completa sulla propria situazione pensionistica (la c.d. “busta arancione”), comprensiva delle prospettive sulle prestazioni attese, è la via principale per permettere ai consumatori di effettuare scelte consapevoli in relazione al proprio futuro previdenziale. Sarebbe opportuno che l’informazione fosse costituita non solo dalle prestazioni pensionistiche attese ma anche dalle altre prestazioni previste dallo schema obbligatorio di appartenenza, come le prestazioni in caso di invalidità e le prestazioni al nucleo familiare superstite.
2) Comunicazione trasparente ai consumatori/utenti sui costi e sulla qualità delle prestazioni sanitarie di cui beneficiano
Le indagini sviluppate in questi anni dal Censis per il Forum ANIA-Consumatori evidenziano una forte spinta nella cultura sociale collettiva a confrontare i costi e le prestazioni di strutture diverse e a comparare la spesa con la qualità delle prestazioni erogate. Oltre l’81% degli italiani è convinto che rendere noti i costi reali delle prestazioni godute migliorerebbe la trasparenza del sistema e consentirebbe ai consumatori di comparare le spese con la qualità delle prestazioni erogate.
A questa trasparenza puntuale dei costi si potrebbe affiancare un inventario di riferimento nazionale dei costi stessi, che aiuterebbe a creare un efficace meccanismo di verifica sociale dell’utilizzo delle risorse pubbliche.
Analoga informativa dovrebbe essere resa disponibile anche per quanto riguarda le liste di attesa e le informazioni accurate già raccolte nell’ambito del Programma Nazionale Valutazione Esiti, gestito da Agenas per conto del Ministero della Salute. Tali informazioni potrebbero essere inserite nel sito web www.dovesalute.gov.it.
La messa a disposizione di tale strumento, unitamente alla impostazione di un sistema di reporting uniforme che incentivi la confrontabilità gestionale delle aziende sanitarie, favorirebbe un sistema sanitario più trasparente e la partecipazione più attiva ed informata dei cittadini, spingendo le strutture ad adeguare i propri standard di qualità e di efficienza e riducendo le disparità territoriali.
3) Combattere il fenomeno del razionamento dei servizi ridefinendo con chiarezza i Livelli Essenziali di Assistenza e l’universalità del sistema
Un servizio sanitario adeguato garantisce a tutti i suoi cittadini, con omogeneità territoriale, un’eguale opportunità di accedere a determinate prestazioni. Un universalismo sostenibile nelle condizioni odierne ha la missione di garantire “l’essenziale a tutti”, secondo una concezione redistributiva di welfare. L’individuazione da parte dello Stato di Livelli essenziali di assistenza (LEA) ne è la traduzione in pratica. Una loro realistica ridefinizione permetterà di porre fine al razionamento dei servizi promessi ma non realmente erogati (ad es. le cure dentarie) e di combattere la lunghezza delle liste di attesa, che provoca il fenomeno della rinuncia alle cure: secondo le analisi Censis, il 41,7% delle famiglie italiane ha al proprio interno uno o più membri che hanno dovuto rinunciare o rinviare almeno una prestazione sanitaria.
Occorre individuare una nuova “universalità selettiva” della sanità pubblica, concentrando le risorse su obiettivi e destinatari ritenuti effettivamente essenziali, sui quali è doveroso mantenere la totale garanzia del sistema pubblico, che si impegna a erogare prestazioni incondizionate e tempestive senza richiedere alcuna forma di co-payment. Per le altre fasce di popolazione o per determinate prestazioni potrebbe essere opportuno introdurre nuove forme di compartecipazione, secondo linee di riforma già adottate in altri paesi, come la Francia e la Germania. Tale soluzione comporterebbe maggiori risorse per lo Stato, che potrebbero essere investite nel sistema pubblico al fine di rendere i servizi più efficienti e tempestivi.
4) Incentivare lo sviluppo di sistemi mutualistici di copertura sanitaria integrativa, sia in ambito collettivo sia per le singole famiglie, e ampliare il loro ruolo e ambito di intervento anche alle principali voci di spesa “out of pocket”
Attualmente gli Italiani sono costretti ad acquistare prestazioni sanitarie pagandole “di tasca propria”, cioè al di fuori di qualsiasi quadro mutualistico pubblico o privato, in misura doppia rispetto ai cittadini francesi o inglesi.
Essendo sostenuta direttamente e in assenza di schemi mutualistici pubblici o privati, che potrebbero mitigarne l’importo grazie ai benefici del convenzionamento, questa spesa per la salute “di tasca propria” colpisce per l’intero suo ammontare le singole famiglie, che si trovano a dover fronteggiare tali esborsi, spesso inattesi, con un conseguente aumento della loro vulnerabilità finanziaria. Si tratta di una spesa media pro capite che, secondo le analisi Censis, ammonta a oltre 500 euro l’anno.
L’utilizzo più diffuso di schemi mutualistici come i fondi sanitari, coniugata con la ridefinizione dei LEA prefigurata nella proposta 3, conferirebbe maggiore efficienza e trasparenza alla spesa dei cittadini.
– Efficienza perché permetterebbe di sfruttare le economie di scala che essi offrono, agendo come “gruppi di acquisto” e quindi riducendo i costi. Lo sviluppo delle forme sanitarie integrative rappresenta infatti una fonte di risorse che può contribuire agli obiettivi di tutela della salute e di miglioramento della qualità dei servizi sanitari offerti alla collettività.
– Trasparenza perché eviterebbe il fenomeno dell’evasione o elusione fiscale (il 32,6% degli italiani ha dichiarato al Censis di aver pagato prestazioni sanitarie o di welfare in nero).
In funzione di tale obiettivo, il ruolo della contrattazione collettiva e delle parti sociali rimane fondamentale. Pur avendo già dimostrato di saper individuare forme di sostenibilità delle coperture previdenziali, sanitarie e assistenziali, le soluzioni collettive anche aziendali presentano margini di ulteriore miglioramento nella diffusione di coperture di lunga durata e in termini di estensione dell’ambito dell’assicurazione al nucleo familiare dei lavoratori.
5) Definire un quadro di regole chiaro e uniforme, con un Testo Unico delle forme sanitarie integrative (fondi e casse sanitarie, società di mutuo soccorso, polizze malattia di imprese di assicurazione).
Un quadro normativo unico, come già fatto per la previdenza complementare, individuando regole comuni a garanzia degli assistiti, contribuirebbe allo sviluppo ordinato delle forme sanitarie integrative e conferirebbe più efficienza al ricorso dei cittadini alla sanità privata, effettuato oggi prevalentemente con spesa “di tasca propria”. L’armonizzazione normativa e fiscale diventa un presupposto per creare un sistema comprensibile, evitando differenze tra i soggetti che poi condizionano contenuto, qualità e confrontabilità delle coperture offerte.
6) Affrontare il problema della non autosufficienza in tarda età incentivando la diffusione di soluzioni collettive di carattere mutualistico
La gestione della non-autosufficienza personale o di un familiare è ormai una esperienza di
massa. Secondo le analisi Censis, sono circa 3 milioni i non autosufficienti in Italia, di cui 180.000 in residenzialità. Sono oltre 1,3 milioni le “badanti” attive in Italia, con una spesa per le famiglie di circa 10 miliardi l’anno.
L’esperienza dei costi e delle tante difficoltà associate alla non autosufficienza degli anziani rende il 78% degli Italiani favorevole alla individuazione di una copertura obbligatoria contro la non autosufficienza. La contrattazione collettiva e le parti sociali possono rivestire un ruolo fondamentale per promuovere soluzioni in questo ambito, come ad esempio il fondo unico nazionale LTC per i dipendenti del settore assicurativo.
7) Informare e sensibilizzare i cittadini sui rischi legati alla salute e alla longevità, a partire da quelli della non autosufficienza, promuovendo l’adozione di comportamenti che mirano alla prevenzione dei rischi ad essa legati
La gestione dei rischi passa in primo luogo dalla prevenzione che rende i cittadini più consapevoli nei propri comportamenti. Agire su questo versante ha effetti economici positivi perché diminuisce i costi degli interventi e migliora la qualità della vita dei cittadini. Serve un’azione informativa costante e organica su questi temi, con il coinvolgimento di tutti gli attori interessati.
Esiste una conoscenza molto limitata degli Italiani relativamente ai temi del welfare e della tutela del proprio futuro. Per fare un esempio, la quota delle persone che dichiarano al Censis di conoscere bene gli strumenti della previdenza complementare arriva solo al 14%, nonostante si tratti di un tema dibattuto da anni. Son valori troppo ridotti che denunciano una situazione in cui i cittadini subiscono il cambiamento, senza essere in grado di governarlo. Iniziative di educazione e orientamento al risparmio, alla tutela dei grandi rischi, alla necessità di costruire nel lungo periodo situazioni di tutela, sono pertanto urgenti.
8) Un fisco “prowelfare”
Le analisi sviluppate dal Forum evidenziano che da anni stiamo vivendo un processo di trasferimento degli oneri per la gestione di determinati rischi dal welfare pubblico alle singole famiglie. A tale processo si accompagna un parallelo trend di aumento della pressione fiscale, che ha raggiunto ormai livelli tra i più elevati dell’area OCSE.
In sostanza, al trasferimento dei rischi sulle spalle delle famiglie non si è accompagnato un corrispondente aumento delle risorse necessarie per gestire tali rischi, ma piuttosto è avvenuto il contrario.
Un sistema equo e realmente sostenibile per le famiglie e i consumatori non può prescindere da una politica fiscale che sia genuinamente “prowelfare”: realmente orientata, cioè, a rendere meno gravosa la spesa per il welfare, premiando fiscalmente comportamenti volti alla prevenzione, al risparmio, alla previdenza, all’assistenza e alla cura.