di Paola Valentini
Per le banche il business del risparmio gestito è diventato una fonte di reddito molto più potente dell’intermediazione del denaro, perché oggi offre margini maggiori. Di qui la forte spinta da parte degli istituti bancari sul collocamento allo sportello di quote di fondi gestiti dalle rispettive sgr.
In base alle stime di Barclays, nel primo semestre del 2015 i ricavi da commissioni delle principali banche italiane hanno raggiunto il 40% dei ricavi totali (circa il 50% fa riferimento al margine di interesse e circa il 10% al trading). E più di un terzo di queste commissioni fanno capo alle attività di risparmio gestito. Negli ultimi due anni le banche italiane sono tornate a spingere molto i fondi per compensare il calo dei margini sulla tradizionale intermediazione creditizia, penalizzati dai tassi rasoterra. E proprio la spinta degli istituti di credito, consente ai fondi di portare a casa livelli di raccolta da record.
Lo scorso anno l’industria italiana ha avuto flussi netti pari a 133 miliardi di euro e negli otto mesi del 2015 (ultimi dati disponibili) il sistema è già a quota 111 miliardi, circa 23 in più rispetto a quanto totalizzato tra gennaio e agosto del 2014, con le sgr bancarie che continuano a fare le sgr di emanazione bancaria. Eurizon Capital si conferma prima per raccolta netta nei fondi aperti. Le gestioni del gruppo Intesa Sanpaolo hanno chiuso il primo semestre (dati della mappa trimestrale di Assogestioni) con una raccolta netta di 16 miliardi (più 2,3 miliardi di Banca Fideuram), quasi un quarto del totale dei fondi aperti (69,5 miliardi).
Un risultato superiore a quello dell’intero 2014 (15 miliardi) che l’aveva già catapultata in cima alla classifica.
Alle spalle si piazza Pioneer, che fa capo ad Unicredit, con 9,3 miliardi in sei mesi, rispetto ai 10,8 miliardi di tutto il 2014. Simili flussi nel solo primo semestre portano a chiedersi se il boom sia sostenibile, anche alla luce delle numerose fonti d’incertezza che da luglio in avanti si sono riversate sui mercati facendone balzare la volatilità. Per Barclays c’è ancora molto spazio per un’ulteriore crescita della raccolta allo sportello. Motivi? La banca britannica ne trova sia dal lato dell’offerta che da quello della domanda. Da una parte i bassi tassi convincono un sempre maggior numero di famiglie a cercare nei fondi alternative di investimento dai rendimenti potenzialmente interessanti. E il risparmio gestito ha in questa fase una facile presa sugli investitori retail perché può contare su performance che almeno fino ai primi mesi del 2015 sono state brillanti (Mediobanca stima che i fondi aperti italiani abbiano chiuso il primo trimestre 2015 con una performance del 4,6% circa, dopo il +3,6% del 2014).
D’altra parte le banche hanno ancora a disposizione un ampio bacino di risparmio da dirottare nei fondi perché, stima Barclays, il risparmio amministrato (meno redditizio dei fondi in termini di commissioni) detenuto dalle famiglie presso gli istituti di credito è oggi pari a 1,3 volte lo stock di risparmio gestito degli stessi. Inoltre, le obbligazioni emesse dalle banche negli anni scorsi (e collocate a piene mani nei portafogli retail) che scadranno entro il 2017 rappresentano l’87% della crescita attesa nel risparmio gestito degli stessi istituti nei prossimi due anni e mezzo.
Quindi la sfida per le banche è continuare a trasferire le riserve di bond e risparmio amministrato i fondi. E per Barclays gli istituti ci riusciranno agevolmente. Ma quanto durerà il vento in poppa? La domanda sorge perché qualche difficoltà comincia a vedersi. «La raccolta netta è in generale resistente ai movimenti di breve termine dei mercati azionari», afferma l’investment bank. Quel che è certo, però, è che nel giro di tre mesi le condizioni dei mercati sono radicalmente cambiate rispetto alla fine del primo semestre. Volatilità e incertezza saranno i grandi protagonisti del prossimo anno, e non è detto che resteranno immutate le condizioni che hanno contribuito a creare il boom del risparmio gestito in banca. Barclays stessa sottolinea che a causa della maggiore volatilità che avvolge oggi il mercato azionario, nei prossimi due anni e mezzo (al 2017) sarà un po’ più difficile per le banche modificare il mix dei fondi collocati alla clientela rispetto a quanto le stesse hanno fatto dal 2014 in avanti, in concomitanza con il buon andamento dei mercati azionari. Barclays fa riferimento a un fenomeno che lo scorso anno si è ripetuto identico in tutte le sei maggiori banche italiane oggetto della sua analisi (Intesa Sanpaolo, Unicredit, Ubi,Mps, Banco Popolare e Banca Popolare di Milano). «Una delle dinamiche più interessanti che abbiamo visto nel 2014 è stato lo spostamento verso fondi caratterizzati da maggiori commissioni, come gli azionari, flessibili o bilanciati, a discapito di obbligazionari e fondi di liquidità». Le banche hanno quindi approfittato dei tassi ai minimi inizialmente per proporre alternative ai titoli di Stato, con fondi a maggior contenuto obbligazionario e molto simili nel funzionamento ai Btp (fondi a scadenza e magari anche con la cedola). E poi hanno progressivamente spostato l’obiettivo di raccolta verso prodotti più esposti sull’azionario e, come si diceva prima, sono state facilitate in questo da rendimenti dei bond che si sono via via abbassati, toccando i minimi con l’avvio del Qe della Bce lo scorso marzo. Barclays sottolinea che i margini per le banche sui prodotti obbligazionari e cash si collocano attorno agli 80 punti base, mentre quelli sui fondi a più alto contenuto di rischio sono sui 200 punti base. Per blindare la raccolta, inoltre, allo sportello sono proposti soprattutto fondi a scadenza, dai quali disinvestire non è sempre conveniente per il sottoscrittore (perché per uscire prima si pagano commissioni) e quindi assicurano flussi stabili alle sgr. Il problema è alla scadenza (in genere hanno una durata di quattro o cinque anni): se il risparmiatore non ha adeguati rendimenti potrebbe cercare altrove alternative. E le reti di promotori sono oggi più agguerrite nel cercare di strappare clienti alle banche. E ci stanno riuscendo. «Le nostre stime indicano che gli sportelli bancari hanno progressivamente perso quote di mercato sulle attività finanziarie delle famiglie, a favore del canale postale sul mass-market e delle reti di promotori sulle fasce più alte di clientela. Questo trend non si è interrotto nel periodo più recente», spiega Lea Zicchino, partner di Prometeia, «per i prossimi anni, lo scenario su cui stiamo lavorando vede ancora una ricomposizione della raccolta delle banche, ma il potenziale si è ridotto e questo potrà essere solo parzialmente compensato dal maggiore risparmio delle famiglie. La raccolta netta potenziale degli sportelli bancari in strumenti di risparmio gestito si attesta in base alle nostre stime intorno ai 100 miliardi di euro cumulati nel prossimo triennio dagli oltre 180 cumulati nel triennio 2013-2015». In effetti, nonostante le forti turbolenze causate negli ultimi mesi dalla crisi greca e della borsa cinese, le reti continuano ad assicurarsi flussi sempre più alti di raccolta (ed è tutta raccolta nuova, non fondi spostati dai titoli alle gestioni). Come dimostrano i dati record dei nove mesi del 2015 delle principali quotate. Banca Mediolanum in nove mesi ha registrato flussi netti superiori a 3 miliardi, sopra di record del 2014. «I nostri clienti, grazie alla consulenza dei family banker, riconoscono queste fasi come occasioni di investimento», ha spiegato Massimo Doris ad di Banca Mediolanum. Numeri simili per Banca Generali (3 miliardi in nove mesi). Pietro Giuliani, ad e presidente di Azimut, evidenzia «l’eccezionale trend di quest’anno in cui nel solo terzo trimestre abbiamo realizzato una raccolta superiore a 1 miliardo, e di 5 miliardi nei nove mesi». Intanto da inizio 2015 FinecoBank ha registrato una raccolta netta di 3,7 miliardi, +34% sullo stesso periodo del 2014. Sono proprio le reti di promotori finanziari a collocare i fondi e le sicav delle società di asset management estere, mentre le banche, secondo i dati della Banca d’Italia, a fine 2012 controllavano fondi aperti di diritto italiano cui faceva capo il 76% circa del patrimonio complessivo. E grazie ai promotori, i fondi esteri in Italia stanno facendo il pieno di raccolta. Anche in Europa spiccano fondi di case estere, come risulta dalle elaborazioni di Morningstar sui comparti che da inizio anno vantano la maggiore raccolta netta sui mercati europei (si veda tabella). Intanto Morgan Stanley Investment Management ha riaperto alle sottoscrizioni lo storico fondo Global Brands (un azionario internazionale focalizzato su azioni di alta qualità, caratterizzate da un alto ritorno sul capitale legato al valore dei loro asset intangibilli) che era stato chiuso agli investitori retail tre anni fa in seguito agli elevati afflussi di raccolta. Il fondo ha reso il 6,4% in più dell’indice delle borse mondiali Msci World dal lancio avvenuto il 31 ottobre 2000. (riproduzione riservata)