Adriano Bonafede
È il big bang del risparmio gestito. Il progetto di quotazione dei fondi mobiliari d’investimento, una massa di oltre 655 miliardi, è la scintilla che farà deflagare il consolidato accordo di spartizione del ricco piatto delle commissioni che ruotano attorno alla loro vendita. Non meno di 7-8 miliardi di euro che oggi premiano più la struttura distributiva, a cui vanno due terzi di queste fees, rispetto alla fabbrica prodotto, alla quale resta l’altro terzo. C osì tutto il mondo che ruota attorno all’asset management è in subbuglio: che cosa accadrà fra un paio di mesi o forse prima quando sarà terminato l’iter di modifica del Regolamento della Banca d’Italia e del decreto ministeriale n. 228 del 1999? Per capirlo bisogna fare un passo indietro e vedere le diverse posizioni dei soggetti in gioco. È molto soddisfatta la Consob, che ha sempre sponsorizzato il progetto, convinta che sia un’importante spinta che favorirà il consumatore abbassando le commissioni. Anche la Banca d’Italia, alla fine, e per la stessa ragione, non ha obiezioni. È molto soddisfatta Borsa Italiana, che vede nello scambio delle quote dei fondi nella sua piattaforma nuova di zecca, già pronta per la partenza, un’occasione per ampliare il proprio giro d’affari. Una Borsa Italiana che, commenta qualche esperto, non avrebbe certo preso un’iniziativa così dirompente e gravida di conseguenze in passato, quando era ancora un’istituzione italiana. Ma ora è sotto il controllo del London Stock Exchange, controllato da un gruppo di investitori istituzionali che guarda più al business che non ai delicati equilibri della finanza italiana. E così è accaduto che proprio Borsa Italiana abbia dato una spallata al sistema bancario italiano. Le banche, infatti, sono le prime a potersi lamentare se un domani gran parte dei fondi potranno essere acquistati sulla piattaforma della Borsa – da qualsiasi conto bancario – con il semplice pagamento di una commissione di intermediazione come una qualsiasi azione od obbligazione. Gli istituti di credito si fanno pagare dai loro clienti fior di commissioni, soprattutto di gestione visto che negli ultimi anni sono quasi del tutto scomparse le fee di ingresso (ma di recente, segnala l’annuale rapporto di Mediobanca sul risparmio gestito, sono riapparse nei cosiddetti fondi a scadenza predefinita). Per i fondi azionari, è sempre il Rapporto di Mediobanca a segnalarlo, si arriva anche chiedere anche il 2,9 per cento annuo. Ancora più preoccupati delle banche sono i 55 mila promotori finanziari che vendono prodotti del risparmio gestito, soprattutto fondi. Si tratta perlopiù di piccoli imprenditori che vivono di feesche retrocede loro la banca-rete retrostante (Mediolanum, Banca Generali, Azimut, Fineco, Anima ecc.)che peraltro mette a loro disposizione studi e strumenti informatici per il miglior servizio al cliente, specie nel momento più delicato, ovvero nella scelta dell’asset allocation, il mix di prodotti corrispondente al profilo di rischio. I promotori vedono come fumo negli occhi la possibilità che avranno i loro clienti di poter acquistare i fondi in via telematica. Ma temono soprattutto che questa misura sia il preludio a una disintermediazione ben più ampia, come già accaduto in Gran Bretagna. E, sempre, in gioco c’è il rischio di perdere una parte delle laute commissioni. Facciamo però un passo indietro. Di per sé non significa nulla che i fondi, ciascuno dei quali ha già un proprio Isin (numero identificativo di Borsa) potranno presto essere scambiati in via telematica. Intanto perché andranno sulla piattaforma solo i fondi che decideranno di farlo, e questo è già un primo sbarramento. Le banche che producono fondi d’investimento – a cominciare da Intesa Sanpaolo e da Unicredit (che ha di recente ceduto una parte di Pioneer) – non hanno davvero alcun interesse a bypassare né i propri sportelli né le reti dei promotori, ovvero tutta l’attuale struttura distributiva, e quindi è presumibile che non quoteranno i propri fondi o lo faranno soltanto con qualche prodotto-civetta. Ma c’è di più. Trovare i fondi nella piattaforma di Borsa e comprarli con un semplice clic non avrebbe significato se il consumatore non potesse avere una qualche forma di sconto sulle commissioni di gestione che oggi contengono una forte retrocessione alla rete distributiva (più o meno due terzi del totale). In mancanza di uno sconto, il consumatore non risparmierebbe nulla comprando in Borsa e anzi dovrebbe aggiungervi il costo della transazione. Ma, è questa la paura: quando si apre una strada nuova si sa da dove si parte ma non dove si arriva. È certo che alcune fabbriche prodotto, magari escluse dalla vendita attraverso il canale bancario o dei promotori, cercheranno di farsi strada con commissioni molto ridotte su Borsa Italiana. La previsione pressoché unanime degli operatori è quindi che, almeno all’inizio, la quotazione riguardi pochi fondi. Si fa il nome, ad esempio, di AcomeA, l’sgr indipendente di Alberto Foà (già fondatore di Anima). Ma c’è anche un altro problema: anche ammesso che in prospettiva si abbassino i costi di gestione di alcuni fondi per chi acquista con Internet banking sulla piattaforma di Borsa, chi oserà bypassare del tutto la rete bancaria o dei promotori per avventurarsi nel mare magnum ma periglioso del fai-da-te? «La quotazione dei fondi – dice Maurizio Bufi, presidente dell’Anasf, l’associazione dei promotori – riguarderà alla fine una nicchia di mercato. Ne usufruiranno soltanto i clienti esperti, quelli che possono o pensano di costruirsi un’asset allocationda soli. La grande massa continuerà ad affidarsi alle reti perché ha bisogno di essere consigliata. E poi, siamo sicuri che le società di gestione del risparmio abbiano così tandi ta voglia di disintermediare il nostro settore? I fondi non si collocano da soli, hanno bisogno di gente esperta che ne spieghi le caratteristiche e che riduca la carica emotiva dei clienti, sempre pronti a uscire di fronte a una piccola turbolenza del mercato». Tutto bene, dunque, per banche e promotori? La montagna della quotazione in Borsa partorirà alla fine soltanto un topolino? Ovvero pochi e residuali fondi comprati e venduti da qualche appassionato (e supposto esperto) consumatore? Non è detto. Qualcuno ricorda l’esperienza delle polizze Rc auto vendute online. All’inizio sembravano cose per alieni, ma oggi hanno quasi raggiunto il 10% del totale. E continuano ad avere la maggior crescita fra i vari canali. Vendere fondi non è certo come vendere polizze, però l’esempio resta lì come un monito a chi crede che le cose non cambino e che la tecnologia non produca profondi mutamenti. Ma i promotori non tremano solo per questo. Paventano infatti che la quotazione dei fondi sia solo un primo passo verso un maggior potere contrattuale dei consumatori e quindi verso una discesa della remunerazione per i distributori. Oggi le commissioni di gestione dei fondi, pur dichiarate nel prospetto vendita, vanno per due terzi alle reti (di promotori o bancarie). Quel che fa paura è la “soluzione inglese”: lì le sgr non possono più retrocedere le loro fee ai promotori,. Questi ultimi, se vogliono guadagnare, devono chiedere ai clienti una fee per la consulenza. Ma solo i più attrezzati promotori sono riusciti a farlo: un quarto di loro, alla fine, è uscito dal mercato. A destra, Palazzo Mezzanotte a Milano, sede di Borsa Italiana