di Anna Messia
Hanno già abbandonato il tavolo delle trattative avviate con il ministero dell’Economia allo scopo di lanciare il fondo per la crescita, destinato a far confluire il risparmio previdenziale nell’economia reale, anche con il supporto di Cdp. Ora le casse previdenziali dei professionisti si preparano anche a ricorrere all’Unione Europea, se il governo non farà marcia indietro sulla tassazione delle rendite, destinate a salire, da gennaio dell’anno prossimo, dal 20 al 26%. «Siamo sconcertati e allarmati dall’ipotesi di aumento della tassazione sulle rendite finanziarie derivanti dall’investimento degli iscritti», hanno dichiarato ieri i presidenti degli enti previdenziali privati e privatizzati, riuniti in assemblea nell’associazione che li rappresenta (Adepp).
Tanto che hanno subito chiesto un nuovo incontro con il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, «per riaprire il tema ai fini del bene comune». L’aumento della tassazione, come noto, non riguarda solo le casse, ma anche i fondi pensione che, secondo l’ultima versione della legge di Stabilità, vedrebbero aumentare l’aliquota sui rendimenti dall’11,5 al 20%, tra l’altro con una norma retroattiva, che farebbe partire il rincaro da gennaio di quest’anno sulle plusvalenze maturate dei fondi. Mentre per le Casse la tassazione riguarda il realizzato, avviene cioè al momento del riscatto della posizione previdenziale. Ma nonostante l’impatto, per la diversa modalità di prelievo, sia di minore entità rispetto ai fondi, le Casse lamentano il fatto che la loro aliquota, al 26%, sia allineata di fatto ad altri tipi d’investimento, come i fondi comuni oppure i conti correnti. «Equiparare l’investimento previdenziale a quello di qualsiasi operatore speculativo di mercato significa travisare la missione istituzionale e costituzionale della previdenza complementare», hanno aggiunto i presidenti degli enti, «penalizzando la contribuzione versata alle Casse rispetto a quanto previsto per quella corrisposta all’Inps».
A questo punto, se l’esecutivo non cambierà orientamento, il ricorso a Bruxelles appare la strada obbligata. «Non esistono motivazioni plausibili e spiegabili a 2 milioni di professionisti italiani», ha dichiarato il presidente Adepp, Andrea Camporese, «Non esistono giustificazioni di fronte a colleghi tedeschi o francesi che vedono i rendimenti dei loro versamenti non tassati affatto, in un mercato unico europeo nel quale, oggi, ci presentiamo con una zavorra pesantissima». La speranza è ovviamente che la legge di Stabilità possa essere corretta durante l’iter di approvazione parlamentare, ma le casse sono già pronte a porre «con forza la questione a Bruxelles, agli europarlamentari europei, alla commissione e al Parlamento europeo». Strada condivisa anche da Assoprevidenza che, come centro tecnico sul settore, concorda sul fatto che le norme della legge di Stabilità siano contrarie ai principi europei. «Il resto d’Europa va verso una tassazione Eet, ovvero esenzione dei versamenti e dei rendimenti e tassazione delle prestazioni», dice Sergio Corbello, presidente di Assoprevidenza, «le norme italiane non solo vanno nella direzione opposta ma sono anche contrarie ai principi fondanti dell’Unione europea perché penalizzano la libera circolazione dei lavoratori italiani nel resto d’Europa. I crediti d’imposta accumulati sui propri prodotti previdenziali andrebbero infatti persi se per esempio si decidesse di andare a lavorare in Spagna o in Francia». Per quanto riguarda infine il Fondo per la crescita, che vedeva come protagonista Padoan, Camporese ha sottolineato che «si tratta di un progetto utile sia alle Casse che al Paese ma ora l’intenzione è di proseguire autonomamente», quindi senza il ministero. Il fondo sarà «chiuso, a maggioranza di investitori istituzionali previdenziali» e con una «cifra superiore a 1 miliardo». (riproduzione riservata)