I fondi aperti hanno raccolto in otto mesi quasi 62 miliardi di euro. Un risultato record che conferma il trend positivo dell’industria e che, come più volte è stato sottolineato dai vertici di Assogestioni, trova una sua spiegazione nei tassi di interesse particolarmente bassi e nelle nuove politiche di sviluppo delle banche. “Due fattori congiunturali che hanno favorito, e ancora favoriscono, questa eccezionale raccolta dei fondi comuni, ma non sono l’unica causa di questo trend” spiega Fabio Galli direttore generale di Assogestioni, che considera anche determinante un fattore strutturale come “la fine del ciclo pluridecennale di crescita del mercato immobiliare e, contemporaneamente, la fine della tassazione di grande favore degli immobili nel nostro paese”, spiega Galli che mostra di avere le idee chiare anche quando si parla di sviluppo futuro dell’industria del risparmio gestito.
L’anno dei record è sicuramente un motivo di vanto per i player del settore, ma questi numeri eccezionali ora devono essere accompagnati da nuove strategie di business?
Non parlerei tanto di nuove strategie ma di un nuovo ruolo per l’industria ancora più propositivo sia sul fronte più tradizionale di un’offerta ampia e diversificata, che consenta ai risparmiatori di migliorare l’efficienza dei propri portafogli, sia sul versante molto complesso del sostegno alle imprese e agli investimenti infrastrutturali in sostituzione del credito bancario. Sul primo fronte i player del settore sono chiamati a promuovere ulteriormente la diversificazione, obiettivo che da tempo impegna il risparmio gestito ma che è ben lungi dall’essere raggiunto. Gli italiani sono ancora largamente sovraesposti verso reddito fisso e aree geografiche tradizionali rispetto ad investimenti azionari e alternativi o a paesi a forte crescita.
E sul fronte del sostegno alle imprese: cosa dovrebbe fare l’industria del risparmio gestito?
Si tratta sicuramente di una sfida molto complessa che richiede ai gestori una capacità di coniugare la salvaguardia dei risparmiatori con la necessità di affrontare la gestione di lungo periodo, fondamentale quando si parla di sostegno alle imprese. Questo comporta uno sviluppo delle capacità di monitoraggio e di valutazione degli investimenti illiquidi e comporta la nascita e lo sviluppo di nuovi strumenti di investimento: l’industria deve essere in grado di creare nuove asset class, dove possibile, e abbinarle a prodotti adatti anche alla clientela retail. Non vi sono soluzioni facili o scontate ma credo che le opportunità oggi siano immense e se il risparmio gestito sostituisse anche solo un quarto del credito bancario nei prossimi dieci anni saremmo di fronte a un passaggio epocale.
Ma in questo scenario non è sufficiente la volontà dell’industria: la regolamentazione e la fiscalità possono trasformarsi in un freno per lo sviluppo del settore?
Siamo di fronte a una sfida di mercato che coinvolge anche il regolatore e il legislatore: il primo non dovrebbe imporre vincoli o condizioni impossibili, ma dovrebbe favorire un contesto di fiducia. Il secondo, invece, dovrebbe accompagnare questo sviluppo finanziario con adeguati incentivi fiscali.
E ritiene sia possibile ottenere un tale risultato?
Con il regolatore, in primis quello europeo, crediamo si possa instaurare un rapporto collaborativo stretto: l’industria non è orfana di un modello di business che ha fallito bensì si presenta come la parte della finanza più sana e più vicina alle famiglie/imprese. E su questo fronte è lo stesso regolatore europeo a suggerire la via di un nuovo modello di finanziamento dello sviluppo economico tramite i fondi (mi riferisco in particolare agli Eltifs e ad alcune norme contenute nella direttiva AIFMD).
Non dimentichiamo, inoltre, che anche grazie al regolatore oggi questo settore può contare su pilastri solidi: trasparenza, gestione attenta e consapevole dei potenziali conflitti di interesse, allineamento degli incentivi di lungo termine – e non da ultimo la piena concorrenza di mercato anche transfrontaliera.
In questa fase credo che il legislatore debba saper accompagnare le tante possibili partnership pubblico/privato, penso in particolare al tema dell’impact investment o, ancora, a tutta la tematica delle SRI e della governance di cui si deve tenere conto quando si parla di partnership pubblico/privato perché una industria degli investimenti sana è un pezzo fondamentale del nostro sistema democratico.