Adriano Bonafede
Qualcosa si muove nel risparmio gestito, a giudicare dalle recenti operazioni che hanno dato una scossa al mercato. Azimut, il gruppo guidato da Pietro Giuliani, ha completato l’acquisizione del 50% di Legan, una società di gestione brasiliana specializzata in strategie a bassa volatilità. La stessa società aveva messo a segno un paio di mesi fa un’altra acquisizione: il 50% del capitale sociale di Katarsis Capital Advisors Sa e della sua partecipata Eskatos Capital Management Sarl, entrambe con base a Lugano in Svizzera. Nell’agosto scorso Arca — uno dei più attivi “bidder” (acquirenti) nel settore — ha acquisito la società di risparmio gestito di Carige (mentre la compagnia della banca è anch’essa pronta a una cessione che però non si è ancora concretata). La stessa Arca aveva concluso nel 2012 altre due operazioni: la prima è stata l’acquisto di Bpvi Fondi dal Gruppo Banca Popolare di Vicenza, la seconda è stata l’acquisizione di Vegagest, la sgr di alcune Casse di Risparmio che gestiva 18 fondi. Sempre alla fine dello scorso anno Anima, la quarta società di gestione italiana con asset under management pari a 38,9 miliardi di euro, è entrata in possesso delle società del Credito valtellinese Aperta sgr e Lussemburgo Gestioni Sa. La ratio di tutti questi accorpamenti è che occorre creare strutture societarie che abbiano una sufficiente massa critica, mentre tra gli anni Novanta e i primi del nuovo
secolo, la parola d’ordine di ogni banca era quella di avere una propria sgr. Si è capito soltanto sotto i colpi della crisi dal 2008 in poi che realtà troppo piccole hanno costi fissi esageratamente alti. Mentre il trend degli ultimi anni è stato quello di consentire agli italiani, tramite “architetture aperte”, di acquisire quote di fondi internazionali. Mancanza di massa critica e internazionalizzazione dei fondi sono i due driver che guidano gli accorpamenti, ancora troppo lenti per la verità. Tra i player più grandi ce n’è almeno uno che non sembra aver intenzione di partecipare al risiko del risparmio gestito. Si tratta di Mediolanum. «La tendenza alla concentrazione nel settore dell’asset management in Italia è inevitabile. Ma è difficile che il gruppo Mediolanum sia uno dei protagonisti », ha spiegato qualche tempo fa Ennio Doris, fondatore e presidente di Banca Mediolanum: «Come gli altri concorrenti andiamo e andremo a guardare tutti i dossier. Ma per noi non è decisivo come per altri svilupparci per linee esterne, perché noi siamo abituati a crescere molto per linee interne ». Tra i primi quindici operatori presenti sul mercato italiano, soltanto cinque sono stranieri. Tre di questi sono francesi: Axa, Bnp Paribas e Amundi, rispettivamente al decimo, undicesimo e dodicesimo posto con masse gestite comprese tra 24 e 25 miliardi di euro (dati al 30 giungo 2013, elaborazione Kpmg). Davanti a loro c’è Allianz (sesto posto) con 33,4 miliardi di asset under management e Franklyn Templeton Investment (ottavo posto) con 28,3 miliardi. Ai primi tre posti della classifica (che comprende non soltanto i fondi comuni aperti ma ogni attività di gestione degli asset, anche previdenziale e assicurativa, dunque) ci sono la prima compagnia italiana, Generali (con 337,7 miliardi) e i primi due istituti di credito, Intesa Sanpaolo e Unicredit, rispettivamente con 197,7 e 88,9 miliardi di asset under management.