Negli ultimi cinque anni i flussi finanziari in Italia si sono quasi dimezzati, secondo un’analisi di Allen & Overy. Lo studio legale ha considerato i volumi delle principali attività finanziarie: debt ed equity capital market, prestiti, fusioni e acquisizioni, project finance e nuovi investimenti diretti esteri (Fdi).
In seguito sono stati confrontati i valori dell’ultimo anno (i 12 mesi tra settembre 2012 e agosto 2013) con lo stesso periodo del 2006/2007, ovvero un anno prima del fallimento di Lehman Brothers. Rispetto ad allora l’Italia ha mostrato una flessione del 47% dei flussi a quota 268 miliardi di dollari. Nel Paese «c’è stata una forte contrazione dell’M&A, il cui peso è passato dal 37% al 13% del totale, e dei finanziamenti bancari, passati dal 21 al 16%», osserva Stefano Sennhauser, socio del dipartimento di banking di Allen & Overy. «Nello stesso periodo il peso del debt capital market è aumentato dal 35 al 64%, come conseguenza del sempre maggiore accesso di alcune imprese al mercato dei capitali. La diversificazione delle fonti di finanziamento è una tendenza destinata a proseguire».
A livello globale, il valore totale delle transazioni finanziarie è oggi del 30% inferiore rispetto a cinque anni fa, in seguito a un calo da 20 a 14 mila miliardi di dollari. Nel periodo considerato il mondo finanziario ha subito una significativa trasformazione. Gli Usa restano ancora il primo mercato, con un valore delle transazioni di 5.150 miliardi. La principale novità è il balzo al secondo posto della Cina, che è arrivata a 814 miliardi, un livello ancora molto lontano da quello americano, ma già superiore a quello giapponese (Tokyo si è fermata a 806 miliardi). Seguono Canada (unico grande Paese occidentale a non aver perso terreno), Germania e Regno Unito. L’Italia è al dodicesimo posto. Nei cinque anni considerati, tra i grandi Paesi europei, solo Spagna e Regno Unito hanno registrato un calo percentuale (-63% entrambi) superiore a quello dell’Italia.
Nonostante la crisi sia nata negli Usa, l’Europa è stata l’area che ha pagato il conto più salato. Il mercato americano ha ancora una quota del 37% del mercato globale, scendendo di meno di 2 punti. Al contrario l’Europa occidentale, che prima della crisi aveva quasi le stesse dimensioni degli Usa, è ora scesa al 26% (-8%). L’Europa ha resistito su debito e Fdi, ma nell’M&A è passata da una quota del 36% al 23%. Nelle emissioni di azioni i valori di sono ridotti del 7%, mentre nei prestiti sindacati si sono dimezzati.
Tra gli 11 Paesi in crescita, otto sono emergenti. In percentuale il maggior salto è stato quello della Thailandia (+170%), mentre la Cina ha più che raddoppiato il peso finanziario (+123%). Bene anche Indonesia (+45%), Giappone (+37%), Singapore (+31%) e India (+26%). Fuori dall’Asia, forte crescita anche per Lussemburgo (+73%) e, in modo più sorprendente, per la Slovacchia (+120%).
Come ha inciso la crisi sulle attività a livello globale? La correzione maggiore è stata di gran lunga quella di fusioni e acquisizioni, che si sono dimezzate nei cinque anni a 2.300 miliardi di dollari: i deal sono stati inferiori sia come numero che come dimensioni. Gli investimenti diretti esteri sono stati un’altra vittima della crisi, con una caduta di un terzo a 612 miliardi. Flessione del 25% per il mercato del debito, che in valore assoluto resta comunque quello più rilevante (6.100 miliardi). Questo comparto è stato influenzato dal deleveraging delle banche, dalla caduta delle cartolarizzazioni e dalla ricerca di rendimenti da parte degli investitori (che ha provocato l’incremento delle emissioni high yield e nei mercati emergenti). Lo studio segnala che la riduzione degli aiuti della Fed segna uno spartiacque per il mercato del debito: «Le finestre di mercato per le operazioni continueranno ad aprirsi in modo breve e imprevedibile», dice Allen&Overy. «Gli emittenti potrebbero scegliere private placement a costo più basso invece che rivolgersi ai mercati». Anche i levereged loans e i prestiti sindacati risultano ancora sotto di quasi il 30% rispetto al picco del 2007, nonostante la ripresa degli ultimi anni, guidati dal bisogno di rifinanziamento delle aziende.
Per il mercato equity i valori sono calati solo di poco (a 1.200 miliardi) grazie soprattutto ad alcune operazioni negli Usa. In generale c’è stato una riduzione delle quotazioni, mentre hanno resistito meglio gli aumenti di capitali delle società che hanno avuto bisogno di un rafforzamento patrimoniale. Non tutte le attività sono diminuite nel periodo. In particolare il project financing, pur pesando ancora il 3% del totale, ha mostrato una crescita del 56% a 364 milioni. (riproduzione riservata)