È un po’ come l’arma fine di mondo, del dottor Stranamore. Un deterrente che sta lì silente, e apparentemente inoffensivo, ma se le circostanze finiscono per innescarlo, non c’è più niente da fare, l’esplosione diventa inarrestabile. Si chiama clausola di salvaguardia.
Vi aveva già fatto ricorso Giulio Tremonti nell’ultima manovra, ma la sua geometrica potenza è stata dispiegata anche da Mario Monti nel decreto Salva Italia e il botto che ha fatto rimbombare ancora nelle orecchie di tutti i consumatori, La clausola in questione riguardava, infatti, l’aumento dell’aliquota massima dell’Iva al 22%, misura di salvaguardia che in mancanza di altre coperture il governo è riuscito soltanto a spostare di trimestre in trimestre, fino all’inizio del corrente mese, quando la tagliola è calata senza pietà.
Fabrizio Saccomanni di clausole di questo tipo ne ha inserite ben due, tutte a proposito delle cosiddette tax expenditures, ossia l’insieme delle detrazioni ed esenzioni fiscali, quella montagna di agevolazioni monitorata ai tempi di Tremonti da uno dei massimi esperti di Fisco, ossia il dirigente di Bankitalia, Vieri Ceriani, diventato poi sottosegretario all’Economia con Monti e ora consigliere speciale di Saccomanni. Ceriani inventariò 720 diversi tipi di agevolazioni che erodono gettito per 120 miliardi e proprio su quello studio Tremonti studiò la prima clausola di salvaguarda, stabilendo che se entro il 30 settembre del 2012 non fosse passato un riordino dell’intero sistema sarebbero scattati gli aumenti di due aliquote Iva su tre, la prima al 10% e la seconda al 21%.
Saccomanni ha ripreso il tema introducendo una sua variabile che mette nel mirino le detrazioni Irpef al 19% (sono quelle che permettono di scalare parte delle le spese mediche, gli interessi per i mutui prima casa, ed ancora le spese per l’istruzione).
All’articolo 17 della legge di Stabilità è previsto, infatti, che se entro il 31 gennaio 2014 non ci sarà stato un provvedimento di razionalizzazione di queste detrazioni, con l’obiettivo di recuperare 500 milioni, la percentuale degli sconti scenderà per l’anno d’imposta 2013 al 18%, diminuendo ancora di un punto, al 17%, nell’anno successivo. Il che porterebbe a gettito aggiuntivo ben più alto del mezzo miliardo fissato come obiettivo. Ma non è finita. Lo stesso articolo, ai commi seguenti, sposta il mirino sui crediti d’imposta per le imprese, stabilendo che entro 30 giorni dalla promulgazione della legge (e quindi anche qui il timer della bomba è puntato sulla fine di gennaio), se non ci sarà un provvedimento di riallineamento della normativa, che comporti effetti positivo per il fisco per almeno 500 milioni, scatterà una riduzione del 25% degli stanziamenti relativi ai crediti d’imposta. Un taglio ben più profondo di quello che si otterrebbe nel primo caso, visto che se il governo riuscirà a varare il suo provvedimento, alle aziende che ne hanno diritto sarà garantito almeno l’85% del credito d’imposta dell’anno precedente (il saldo negativo, dunque sarebbe del 15 e non del 25%). A lobby e frenatori vari, insomma, l’esecutivo chiede di non ostacolare i suoi criteri di revisione delle tax expenditures ,altrimenti scatteranno le tagliole, con conseguenze peggiori e soprattutto inevitabili.
Al momento, però, nessuno sembra fare caso a queste trappole fiscali. L’attenzione generale è concentrata sui tagli al cuneo fiscale che sindacati e Confindustria, in questo caso uniti, considerano del tutto insufficienti (2,5 miliardi complessivi, che come beneficio nelle buste paga dei lavoratori dovrebbero lasciare circa 10 euro in più al mese). O sulla riforma della tassazione immobiliare (vedere l’articolo a pagina 3), che rischia di far pagare di più proprietari e inquilini (per i possessori di seconde case si tratta, in realtà, di una certezza).
Letta e i suoi continuano a ripetere che per la prima volta la pressione fiscale scenderà in tutti e tre gli anni di validità della Legge di Stabilità (2014-2016). Anche se un semplice calcolo nasometrico dovrebbe consigliare più prudenza. Nel 2014, solo per l’effetto dell’aumento dell’Iva, se le previsioni del Tesoro si dimostreranno corrette dovrebbero entrare nelle casse dell’Erario 4 miliardi in più, mentre l’insieme degli sgravi fiscali dell’attuale manovra non supera i 3,7 miliardi. E qualcuno dovrebbe ancora spiegare dove trovare 2 miliardi per bloccare la seconda rata Imu di dicembre. (riproduzione riservata)