di Vittorio Zirnstein
Con il si dell’Italia sono saliti a 11 i Paesi europei che hanno aderito alla cooperazione rafforzata sulla Tobin tax. Con questo passaggio, non esclusivamente formale, l’imposta sulle transazioni finanziarie potrà diventare realtà, ma soprattutto si compie un passo avanti verso l’integrazione fiscale (e pertanto politica) dell’Eurozona.
Durante le discussioni in sede Econfin di ieri, assieme all’Italia, si sono aggiunti agli otto membri già favorevoli (oltre ai proponenti Francia e Germania avevano detto si Austria, Portogallo, Slovenia, Belgio, Grecia ed Estonia a condizione che il parlamento si pronunci) anche Spagna e Slovacchia. Fonti Ue, citate dalle agenzie di stampa, hanno indicato che l’Italia «avrebbe preferito una partecipazione più ampia alla cooperazione rafforzata, e per questo non è stata una decisione facile». La Commissione europea presenterà la proposta per l’introduzione della Tobin tax e per le relative modalità di applicazione a metà novembre, con l’obiettivo di giungere a un accordo entro fine anno. Propositi francamente ambiziosi e difficili da mantenere, soprattutto in previsione del doppio appuntamento elettorale del prossimo anno, in Italia a primavera e in Germania in autunno. Il punto di partenza della proposta della Commissione prevede una tassa su scambio di azioni e obbligazioni dello 0,1%, che scende allo 0,01% sui contratti derivati, a partire dal 2014. Il gettito che dovrebbe derivarne si aggira in media attorno a 55 – 60 miliardi l’anno.
È scontato che banche e istituti finanziari in generale (dalle assicurazioni ai fondi di varia natura) siano contrari alla Tobin tax, in quanto i soggetti maggiormente colpiti dall’imposta, che è vista invece come un’equa forma di finanziamento per i Paesi Ue, soprattutto quelli bersagliati dalla speculazione. Resta però il fatto che la Tobin tax è una tassa di difficile applicazione in un sistema globalizzato come quello finanziario internazionale, con la possibilità che la sua applicazione in uno o pochi Paesi giunga a distorcere la concorrenza tra mercati o ad alimentare forti arbitraggi da parte degli investitori, giocando tra le differenti aliquote nei diversi Paesi.
In realtà l’adesione alla cooperazione rafforzata in campo fiscale, che permette a un gruppo di Paesi (almeno 9 nella Ue a 27) di procedere da soli in assenza di un accordo generalizzato a patto che la partecipazione non sia esclusa a nessuno dei non aderenti, che si è accompagnata all’ok sulla Tobin tax ha un’essenza profondamente politica e presuppone un’accelerazione del processo di integrazione europeo.
In Italia la notizia è stata accolta positivamente, pur suscitando perplessità la piena adesione espressa per un’imposta considerata di «sinistra» da parte di un monetarista friedmaniano come Mario Monti. Sul quale, evidentemente, ha però prevalso lo spirito europeista.