Il grande rischio è sopravvivere ai propri risparmi, arrivare cioè a un momento in cui si sarà esaurito tutto il denaro a disposizione. Un’ipotesi inimmaginabile fino a poco tempo fa, ma che la crisi economica e l’allungamento medio della vita hanno reso verosimile per gli anni a venire. A fronte di un welfare pubblico che tende sempre più a ritirarsi, per la previdenza complementare si pone la necessità di gestire il longevity risk, andando a caccia di soluzioni innovative come obbligazioni ad hoc costruite sul modello dei cat bond, ovvero obbligazioni che coprono dai rischi di calamità naturali come inondazioni e terremoti.
Quello tra gli italiani e la longevità è un rapporto in chiaroscuro, come emerge dall’indagine realizzata da Episteme per l’Italian Axa Forum, dal titolo Longevità: tra vita reale e immaginario sociale. Uno studio che prende in considerazione il progressivo peso della popolazione anziana atteso per i prossimi anni, a fronte di un calo della fascia in età produttiva. La longevità, neanche a dirlo, è un’aspirazione condivisa dalla maggioranza del campione coinvolto nella ricerca, ma la qualità della vita diviene un discrimine, il principale metro di giudizio: per il 25% degli intervistati, raggiungere la fase della “lunga vita” non significa, infatti, invecchiare veramente perché i progressi della qualità della vita e della medicina permettono di restare giovani molto più a lungo.
Al tempo stesso, dallo studio emerge una scarsa consapevolezza sul tema, considerato che quasi il 90% degli intervistati dichiara di sentirsi più giovane della propria età anagrafica. Quanto alle forme di protezione, il 71% del campione ritiene che debba essere lo Stato a prendersi cura dei non autosufficienti, anche se cresce la consapevolezza che nei fatti questo sarà sempre meno possibile.
Così un italiano su tre è consapevole dell’importanza di attivarsi individualmente per la pianificazione della “fase di lunga vita”, come la definiscono i ricercatori. Tra le soluzioni per proteggere la fase della seconda vita, l’84,6% del campione dichiara un interesse nei confronti delle soluzioni long term care, seguite dalle polizze malattia senza limiti di età e dalle forme di previdenza integrativa, finanziate con la nuda proprietà o con la casa di proprietà.
L’allungamento dell’età media e la riduzione del budget per il welfare pubblico interessano sia i cittadini, sia l’industria della previdenza. Sul primo fronte, con la necessità di attivarsi in proprio per garantirsi una vecchiaia dignitosa a fronte di pensioni statali che si annunciano insufficienti, soprattutto per chi oggi ha meno di 50 anni. Vale a dire considerando le offerte di previdenza complementare e/o attivandosi in proprio con investimenti che si muovono in un’ottica di lunghissimo periodo.
Per il settore assicurativo si tratta di cercare soluzioni in grado di non far saltare i conti, considerato che nelle forme complementari è prevista la corresponsione di una rendita fino a quando l’assicurato è in vita. Una soluzione potrebbe arrivare dai longevity bond, vale a dire obbligazioni indicizzate alla longevità, sottoscrivibili ad esempio dai fondi pensione. Così, se la popolazione assicurata vive più a lungo del previsto, il fondo potrà compensare i maggiori esborsi con le entrate derivanti dalla riscossione del bond, che nel frattempo si saranno rivalutati. Un settore rimasto fin qui di nicchia soprattutto per la mancanza di dati sull’allungamento della vita aggiornati continuamente. Una condizione essenziale per trovare un equilibrio tra i premi richiesti ai sottoscrittori e i rischi effettivi per gli emittenti. Ma è pur vero che lo stesso problema è emerso in passato per altri settori assicurativi nelle prime fasi di sviluppo, salvo poi rientrare a fronte di una maggiore consapevolezza da parte del mercato. (l.d.o.)