Di Laura Magna
Il mondo sommerso dai debiti. La crisi partita dall’Europa – e che ha sempre riguardato anche Stati Uniti e Giappone – rischia di estendersi anche ai Paesi emergenti, finora considerati roccaforti dei bilanci di Stato sani. Intanto, il G20 ha promesso una soluzione, almeno per i Piigs, entro il 23 ottobre. Mentre nel mercato circolano voci di un ampliamento dell’Efsf fino a 2mila miliardi di euro, perché abbia la capienza necessaria per «salvare» Italia e Spagna. E mentre S&P ribadisce che non solo Italia e Spagna potrebbero subire ulteriori bocciature, ma persino la Francia potrebbe uscire dal circolo della tripla A, in caso di un peggioramento della congiuntura. «Solo negli ultimi 13 anni si sono verificati nel mondo 14 casi di inadempienze, più o meno gravi – racconta a B&F Alida Carcano, partner di Valeur Investments – Russia nel 1998, Argentina nel 2001, Ecuador nel 2008. Dal 1800 i casi di inadempienza sovrani sono più di 250. Ma questa volta la situazione è unica poiché interessa l’Eurozona, la seconda più importante economia mondiale. Inoltre gli investitori privati e il sistema bancario sono molto coinvolti. E il rischio di contagio è massimo. Questa crisi non si risolverà in tempi brevi. I giochi sono aperti. Mi sento tuttavia di dire come a mio giudizio non finirà: non credo che uno scioglimento dell’Eurozona sia uno scenario plausibile». Su questo, tutti d’accordo: «Se non si dovesse trovare una soluzione in grado di eliminare la paura dal ventre degli investitori – afferma Edoardo Chiozzi Millelire, responsabile per l’Italia di Convictions Am – rischiamo il credit crunch e una crisi sistemica globale peggiori del 2008. Tutti gli attori mondiali sono contrari a uno sfascio della zona euro e saranno costretti a trovare un’intesa credibile nonostante le difficoltà e le contraddizioni di una costruzione europea incompiuta». Ma c’è anche un’ulteriore prospettiva: «Credo che arriveranno i grandi investitori asiatici, arabi e in generale quelli una volta considerati emergenti – sostiene Michele de Michelis, responsabile degli investimenti di Frame Asset Management – Avranno la possibilità di spostare il baricentro del potere verso Est, acquistando grandi somme di debito pubblico e importanti partecipazioni strategiche nelle maggiori aziende occidentali». Intanto, per aumentare le risorse a disposizione dell’Efsf senza perdere credibilità e senza ricorrere a un nuovo voto, vi sono tre opzioni credibili: «Una tecnica che consisterebbe nel trasferire il problema alla Bei – dice Pierre Olivier Beffy, capo economista di Exane Bnp Paribas – una che prevederebbe di trasformare l’Efsf in una banca che si finanzia attraverso la Bce. E quella assicurativa, in cui l’Efsf diventa garante di ultima istanza e può usare i 780 miliardi di euro in dotazione (pari a un haircut del 40% medio del debito Piigs al 2013) per assicurare le nuove emissioni dei periferici». In regime assicurativo, dunque, almeno una parte del fondo Salva-Stati sarebbe utilizzato per assicurare le perdite su questo debito di nuova emissione. «In pratica – precisa Corrado Caironi, strategist di R&CA Ricercaefinanza.it – invece di emettere obbligazioni e prestare denaro agli Stati in difficoltà, l’Efsf dovrebbe incoraggiare gli investitori privati ad acquistare governativi dei periferici, riducendo il rischio di perdite attese. Ipotizzando perdite del 25% sui titoli italiani e spagnoli e del 50% su quelli degli altri Piigs, sarebbero necessari 440 miliardi per assicurare il fabbisogno complessivo di finanziamento, pari a 1800 miliardi di euro, al 2014, consentendo un uso più efficace delle risorse del fondo». Non va, tuttavia, dimenticato che la crisi che stiamo attraversando è nata dalla discriminazione tra i mercati obbligazionari dell’area Euro e dall’assenza di un quadro fiscale e regolamentare unico. «Dato che i fondi attualmente disponibili non sono sufficienti e che la Bce non può continuare a monetizzare il debito pubblico a tempo indeterminato – continua Beffy – la creazione di un mercato degli Eurobond appare come l’unica soluzione possibile per evitare il flight to quality e un’implosione della zona Euro sul lungo periodo, garantendo un tasso di finanziamento stabile ai Paesi. Tuttavia, la creazione di un mercato degli Eurobond, che dovrebbe essere positivamente accolto dai mercati, non potrà avvenire in meno di cinque anni, in quanto richiede la revisione dei trattati europei».
USA E GIAPPONE. Se Sparta piange, Atene non ride. «Sia gli Usa sia il Giappone stanno affrontando situazioni debitorie problematiche, ma che presentano caratteristiche molto diverse da quelle europee – dice Francesco Citta, dell’ufficio studi di Copernico Sim – I mercati nell’immediato valutano questi Paesi come emittenti solidi ma certamente nel medio periodo la crescita economica non potrà trovare giovamento da questa situazione». Di certo, Usa e Giappone, diversamente dall’Europa, godono di unità politica, economica e fiscale. «Gli americani sono molto veloci e reattivi nel cambiare quando vedono minacciata la loro supremazia – afferma Riccardo Milan, reponsabile per l’Italia di Capital Strategies Partners – Al contrario il Giappone è un Paese che da anni non riesce ad uscire dalla situazione di tassi zero e crescita molto bassa». Non solo. «La grande differenza tra Giappone ed Europa – aggiunge De Michelis – sta nel fatto che il primo colloca il 95% del proprio debito internamente, ai risparmiatori giapponesi, ma soprattutto, sia il Giappone sia gli Stati Uniti hanno autonomia circa l’iniezione di massa monetaria nel sistema e quindi possono stampare quanto vogliono. Certo tutto questo porterà inflazione, ma ricordiamoci anche gli effetti positivi della crescita dei prezzi: il caro-vita erode il debito». Senza considetate che il dollaro, valuta di riserva internazionale, «continua a consentire agli Usa di indebitarsi a basso costo – afferma Jean-Baptiste Pethe, economista di Exane Bnp Paribas – Il Paese ha tuttavia bisogno di politiche di rilancio economico che mirino a realizzare investimenti, ponendo cosi le basi della crescita futura, e a rendere solventi le famiglie indebitate».
EMERGENTI IN BOLLA? E intanto l’ombra del debito si staglia anche sul mondo emergente. «Sebbene migliori rispetto ai Paesi sviluppati, il saldo di bilancio degli emergenti, rispetto al 2007/2008 – spiega Emmanuel Kragen, strategist di Exane Derivatives – ha registrato un peggioramento». Con il rischio che anche i bilanci emerging finiscano in bolla. «Il rapporto debito pubblico/pil non è così negativo come nel mondo occidentale – sostiene Micheal Riddell, del team fixed income di M&G – A differenza del mondo occidentale, dunque, le prospettive di lungo termine rimangono positive per quelle economie emergenti che riusciranno a crescere e manatenere il debito a livelli sostenibili. Sarò sempre convinto che di fronte a questi Paesi ci sono grandi sfide, come l’inflazione, le bolle nel prezzo dei beni, la sovraesposizione alle oscillazioni dei prezzi delle commodity e l’instabilità politica che potrebbe causare errori strategici e non deve essere sottostimata. All’inizio di quest’anno l’Fmi ha riportato l’attenzione sulla formazione di bolle in Cina, India, Turchia e parti dell’America Latina come un rischio considerevole». Le interessanti performance dei mercati in via di sviluppo negli ultimi anni sono state determinate anche dai flussi di liquidità in arrivo da Occidente, oltre che dalla crescita economica e dal miglioramento della
situazione politica. «Adesso – continua Carcano – esiste un problema di possibile crisi di liquidità. Ricordo che per mesi la liquidità iniettata dagli americani sul mercato in termini di quantitative easing non ha avuto grandi ripercussioni sul mercato interno ma si è direttamente riversata in investimenti in Asia. Se la crisi europea si aggrava e le banche chiudono i rubinetti, credo che l’inflazione potenziale non sarà più il problema economico più importante da fronteggiare per le economie in sviluppo. L’Fmi ha già alzato una bandiera rossa su questi possibili effetti; ovviamente dall’altro lato le autorità locali delle economie emergenti più importanti si sono già mosse per garantire interventi controbilancianti».
PORTAFOGLIO ANTI-DEBITO. «Con grande prudenza, noi siamo positivi sull’esito di questa crisi – sostiene Millelire – e quindi siamo investiti in Btp italiani, Bonos spagnoli e titoli di Stato irlandesi, privilegiando le scadenze 2-5 anni. Per il retail italiano, se i segnali dall’Europa sono positivi , si potranno mantenere o comprare un po’ di titoli di Stato italiani, corporate bond di buona qualità su 5-7 anni, titoli bancari senior sui 5 anni. Per le azioni consigliamo prudenza perché sarà difficile evitare un forte rallentamento della crescita in Europa in ogni caso, quindi eventualmente titoli poco ciclici, con bilanci sani, brand forti e presenza globale». Diversificare resta la regola aurea. «E questo per noi significa anche ragionare su dati semplici, come quelli legati alle prospettive future nei prossimi 5 anni – spiega Milan – Consigliamo quindi di orientarsi su emerging market (azionari, ma ancor più obbligazionari), obbligazioni high yield e strumenti obbligazionari a breve termine come cuscinetto e di investire una parte consistente in strategie decorrelate quali Cta, Event Driven, commodity e settoriali difensivi». E in base al profilo di rischio rendimento, portafoglio ideali potrebbero essere composti «per i più prudenti da 30% liquidità, 40% bond inflation-linked, 30% bond societari con scadenze brevi – dice De Michelis – per chi vuole rischiare qualcosa di più invece, consiglierei 30% di liquidità, 30% inflation-linked, 10% bond societari, 15% bond convertibili e 15% azioni high dividend yield». Se è vero che ogni crisi può anche rappresentare un’opportunità, «queste si annidano – conclude Carcano – in investimenti azionari selezionati a livello globale nei settori tecnologia, infrastruttura, beni di lusso e farmaceutico. Per l’investitore avverso al rischio invece in questo momento il focus deve essere sulla preservazione del patrimonio. Ad esempio, riteniamo interessanti i Btp legati all’inflazione e i corporate bond con rating elevato: ma solo come parcheggio».