MATTEO BATTAGLIA 

Disinnescata la bomba Dexia, almeno per ora. La settimana scorsa i governi di Francia, Belgio e Lussemburgo hanno trovato un accordo. In cambio di una drastica dieta dimagrante del gruppo francobelga, a base di spin off e cessioni, i tre governi offriranno garanzie fino a 90 miliardi di euro per l’istituto in crisi di liquidità. Si è evitato così che anche l’Europa avesse la sua Lehman Brother’s. Il default, oltre a minare la credibilità dell’intero sistema bancario europeo, sarebbe costato caro alle banche e ai risparmiatori italiani con in portafoglio circa 10 miliardi di bond della controllata italiana Dexia Crediop. 
Dexia è un colosso da 35mila dipendenti, con un’esposizione da 511 miliardi, pari a 28 volte i mezzi propri. E con debiti, classificati nella prima semestrale 2011 come “eredità” ma che alcuni analisti considerano “tossici”, per 124 miliardi di euro. Già nel 2008 i tre Stati erano intervenuti con un’iniezione da 6,8 miliardi di euro. Non sono bastati. La crisi della Grecia e dei debiti sovrani ha prosciugato i finanziamenti, diventati, quando ci sono, molto onerose, e bruciato sul tempo il tentativo di risanamento avviato dal gruppo. In queste condizioni i 96 miliardi di liquidità a breve di cui ha bisogno la banca sono un’enormità. 
Secondo indiscrezioni a inizio ottobre Dexia non avrebbe avuto più cassa a sufficienza per coprire le necessità a breve, tanto da richiedere un intervento della Bce con circa 300 milioni di euro di prestiti. Immediata la reazione in Borsa: il titolo da inizio mese ha più che dimezzato di valore passando da 1,5 euro a 0,6. Da gennaio la perdita è ancora più consistente: — 80%. Eppure solo il 23 luglio Dexia aveva passato brillantemente gli stress test: «La solida base di capitale permetterebbe a Dexia di resistere nei prossimi due anni», recita il comunicato del gruppo che riprende l’esito del test. Il mercato ha puntato i fari su 200 miliardi di euro bond in circolazione in tutto il mondo. Non fa eccezione il nostro Paese. 
«In tutto in Italia Crediop ha emesso 10 miliardi di obbligazioni», spiega Stefano Catalano, direttore finanziario del gruppo. Secondo una stima il 70% è posseduto dal retail, mentre il restante è in carico alle banche. Insomma 7 miliardi sulle spalle dei piccoli risparmiatori. «Nessun pericolo, rassicura Catalano, Crediop a fronte di impieghi per 40 miliardi ha sofferenze nette solo per 800mila euro. Inoltre circa il 90% dei prestiti sono verso gli enti locali, il restante è diviso tra utility e project financing. Dopo le garanzie indirette del governo francese e belga la situazione è cambiata e a questi livelli i titoli sono sottovalutati», conclude Catalano. Eppure «nonostante la solidità di Crediop, in caso di default della controllante Dexia, pagheranno allo stesso modo anche gli obbligazionisti italiani», spiega Paola Sabbione, analista presso Deutsche Bank. «Continuiamo a consigliare di non acquistare il titolo», aggiunge Matteo Trotta, analista di Consultique sim. Una situazione che ha messo in allerta Intesa Sanpaolo. Il gruppo, dopo i due downgrade sul debito operati da Moody’s e Standard&Poor’s, ha inviato una lettera ai possessori di obbligazioni Crediop per verificare l’esposizione e valutare le opportune correzioni. 
Un avvertimento che per molti si è tradotto nella vendita immediata dei titoli, mandando al tappeto le quotazioni. «Sono obbligazioni poco liquide con scarso flottante, basta poco a causare immediate variazioni dei prezzi», spiega Trotta, che aggiunge: «Su alcune emissioni le quotazioni hanno toccato i 60 punti base, dai 100 iniziali». Nonostante la lettera, Intesa non rivela la propria esposizione né quella dei clienti in Dexia Crediop. Stessa politica adottata dagli altri big italiani. Unicredit e Mps fanno sapere che per policy aziendale non comunicano le esposizioni della società e dei clienti. Più trasparenti i piccoli istituti. Ubi banca rivela che l’esposizione del gruppo verso la casa madre Dexia è nulla, mentre è limitata a soli 6,5 milioni di euro in tre controllate, una in Lussemburgo, una in Turchia e la terza è l’italiana Dexia Crediop. Ubi, inoltre, ha collocato tramite la propria rete 591 milioni di euro di obbligazioni Dexia Crediop ai clienti, 490 milioni con scadenza 2012 e il restante 2014. Titoli che proprio perché sono vicini a scadenza incorporano un rischio limitato. Altri 135,5 milioni sono all’interno di polizze index linked. Da Unipol fanno sapere che «l’esposizione del gruppo in Dexia Crediop è residuale, mentre per i clienti non vi è alcuna esposizione». Nessun rischio per Fondiaria Sai e Milano Assicurazioni che non hanno alcuna esposizione né nel portafoglio delle società né in quello dei clienti verso Dexia Crediop. Rimane l’incognita se i nostri istituti hanno acquistato titoli Dexia della casa madre direttamente sull’euroTLX, il mercato europeo delle obbligazioni. Dalle sale operative fanno sapere che questi bond sono trattati anche dalle nostre banche ma le esposizioni rimangono limitate. La maggior parte è scambiata in Francia, Germania, Spagna e Stati Uniti. Secondo i trader il sentore però è che anche Dexia Crediop non sia riuscita a collocare per intero tutte le ultime emissioni e sia stata costretta a chiedere aiuti a breve alla casa madre. Da qui sarebbe nata la decisione di collocare direttamente sul mercato Mot le obbligazioni senza passare per la rete degli sportelli di altre banche. «Un titolo acquistato tramite internet sul Mot lascia l’acquirente solo, la Mifid non richiede all’intermediario di seguire da vicino il cliente, come accaduto nel caso di Intesa», spiega Sabbione. Obbligazioni a parte, Banco Popolare, Bper e Bpm che hanno in carico la loro quota del 10% si Dexia Crediop a 105 milioni in caso di cessione della controllata italiana, prevista entro il 2012, rischiano di registrare una minusvalenza sulla loro partecipazione.