Quello delle concentrazioni di grandi studi è un fenomeno che ha colto l’Italia quasi di sorpresa. Adesso che le aziende del diritto hanno intrapreso questa strada, molti si sono accorti che la questione non è di lana caprina, anzi. Chi pensa a una strutturazione tipicamente americana, piena zeppa di studi a quattro o cinque nomi sulla targa in ottone e centinaia (quando non migliaia) di professionisti lancia in resta, plaude a quelle che ritiene liberalizzazioni del mercato, miglioramenti del servizio, agevolazioni per i cittadini, che ottengono servizi più accurati, e per i giovani professionisti, che trovano posti di lavoro ben pagati.
Chi non è d’accordo mette in guardia dalle pubblicità commerciali di stampo tipicamente yankee (che gioveranno solo agli studi più ricchi), da un più cinico rapporto avvocato-cliente necessario a mantenere livelli alti di redditività, dal pericolo di sopravvivenza degli studi più piccoli e dallo strapotere di banche e assicurazioni, che tentano da anni di mettere le mani sui servizi legali e che saranno favorite nello sviluppare nuove forme di concentrazione.
Ma quando è nata questa corsa tutta italiana di associarsi? E come si sta sviluppando? Il punto di non ritorno è il 2007, quando accadono due eventi fondamentali per il mondo delle grandi industrie del diritto.
La prima vede protagonisti 90 avvocati, cioè un terzo dei professionisti dello studio Gianni, Origoni e Grippo, che fanno le valigie e aprono il nuovo studio Legance. È il primo segnale forte, quasi una scossa, che segnala un mercato in movimento, con nuovi player forti che escono da uno studio forte. A questo fa seguito la fuoriuscita da Bonelli, Erede e Pappalardo (altro gigante del diritto nostrano) di cinque soci che vanno allo studio Latham & Watkins. Un altro segnale forte, di un gruppo italiano che esce da uno studio italiano e va in uno studio internazionale, forse alla ricerca di un percorso più autonomo. La corsa non si ferma. Quest’anno altre due scosse di assestamento: a febbraio Pedersoli, boutique del diritto specializzata nel settore bancario e in acquisizioni, aggrega sette professionisti (tre soci del calibro di Sergio Speranza, Mario Napoli e Eugenio Barcellona più quattro giovani) in arrivo dallo studio Grande Stevens di Torino, mettendo radici nel capoluogo sabaudo e, a luglio, di nuovo Pedersoli assorbe i professionisti di Marena D’Angelo & Fagotto (che a marzo 2010 si erano divisi da Bonvicini & Ludergnani) e a questo punto vanta 90 professionisti tra Milano e Torino, proponendosi come uno dei leader dell’M&A. In poco più di un mese, tra febbraio e marzo del 2011, un colosso come Nctm subisce una discreta emorragia di professionisti: prima una ventina di soci capitanati da Gianfranco Negri Clementi vanno via e aprono lo studio associato Negri Clementi, poi Francesco De Gennaro e Domenico Gullo fanno le valigie in direzione dello studio Ashurst a Roma. E non è finita qui.
Che il futuro sia ancora in movimento lo dimostra l’ultima indiscrezione uscita in questi giorni sul sito specializzato www.legalcommunity.it, il quale riporta la notizia che Roberto Cappelli ha lasciato lo studio Grimaldi e associati di cui è partner e con cui lavora dal 1993. Una mossa importante nella scacchiera del settore. Cappelli è, tra gli avvocati di Unicredit, quello che ha curato gli interessi della banca di Piazza Cordusio nell’operazione As Roma, di cui è diventato presidente ad interim dopo l’addio di Rosella Sensi.
Ce n’è abbastanza per parlare di Risiko delle law firm, ma la questione è ben altra. Il mercato è più competitivo e gli studi hanno sempre più l’esigenza di rafforzarsi in termini dimensionali per mantenere quote di mercato, sopperire alla flessione in alcune aree e svilupparsi in altre. In sostanza, si dice: mi unisco a qualcun altro per entrare subito in un mercato. Certo, lo stesso obiettivo potrebbe essere perseguito assumendo un nutrito gruppo di giovani da far crescere ma la cosa richiede tempo. Meglio unirsi a qualcuno già forte e il gioco è fatto. In futuro, dicono gli esperti, continueranno i movimenti, con matrimoni a metà strada tra l’interesse e la voglia di nuovo business. Resta solo da capire su quali dimensioni si tareranno i grandi studi: difficile pensare ai 500 o 1.000 dipendenti dei grandi studi statunitensi o inglesi. Probabile che da noi si prosegua sulla rotta dei 250-300 professionisti come massimo possibile per la fascia alta. Per l’Italia 100 professionisti sono già parecchi. (riproduzione riservata)