Alla fine attorno alle banche si respira persino aria di manette. Per ora il tintinnio vale solo per Unicredit, ma c’è da scommettere che non sarà l’unico istituto a finire nel mirino dei pm.
Ieri il Tribunale di Milano ha disposto il sequestro presso la Banca d’Italia di 245 milioni di euro dell’istituto di credito guidato da Federico Ghizzoni e ha indagato 17 persone tra cui l’ex numero uno del gruppo Alessandro Profumo e il vicepresidente di Barclays, Rupack Chandra. L’accusa è pesante: frode fiscale. Nel mirino sono finite le operazioni di pronti contro termine del 2006 e 2007 (denominate Brontos) in lire turche aventi come controparte proprio il gruppo inglese. Operazioni che, in realtà, erano già finite sotto la lente dell’Agenzia delle entrate che aveva contestato alla banca un «abuso di diritto» nell’uso di questi strumenti di ottimizzazione fiscale, contestando a Unicredit di aver eluso il Fisco per diverse centinaia di milioni di euro. Secondo l’indagine del procuratore aggiunto Alfredo Robledo, il contratto stipulato tra Unicredit e Barclays non sarebbe in realtà un pronti contro termine, ma un più banale deposito interbancario.
Il contratto, insomma, sarebbe stato costruito a tavolino per pagare meno tasse.
La banca, secondo l’accusa, avrebbe quindi versato le imposte solo sul 5% dei dividendi percepiti portando in deduzione il restante 95% come previsto per operazioni di finanza strutturata con controparti estere. Se avesse effettuato un semplice deposito interbancario, come effettivamente secondo la Procura è stato, Unicredit avrebbe dovuto pagare le tasse sul 100% degli interessi percepiti. Secondo Robledo, insomma, la banca avrebbe sottratto imponibile al Fisco per 745 milioni comportando un danno per le casse pubbliche di 245 milioni.
La reazione di Unicredit è stata di «sorpresa». Dall’istituto hanno fatto immediatamente sapere «che non cambia la convinzione della banca circa la correttezza del proprio operato e di quello dei propri dipendenti». Del resto, secondo quanto risulta a MF-Milano Finanza, i vertici della banca avevano praticamente chiuso un accordo con il Fisco ed erano pronti a versare nelle casse dell’Erario un centinaio di milioni. Una strada, quella della pace fiscale, che già era stata battuta dalla Banca Popolare di Milano e che, sempre secondo quanto ricostruito da MF-Milano Finanza, si avviavano a percorrere anche gli altri grandi istituti di credito.
Tutti, del resto, si sono visti contestare dall’Agenzia guidata da Attilio Befera, elusioni milionarie per abuso del diritto per operazioni molto simili a quella conclusa da Unicredit. Una vera spada di Damocle sulla testa del sistema. L’abuso del diritto, infatti, è una fattispecie che nell’ordinamento italiano non esiste. È stata creata, a partire dal 2008, da una serie di sentenze della Corte di cassazione ma mai normata dal legislatore. Il principio introdotto dalla giurisprudenza è semplice: è comunque sanzionabile l’uso distorto di strumenti giuridici leciti se lo scopo è quello di ottenere un indebito vantaggio fiscale. Insomma, qualsiasi operazione fatta da una banca, ma anche da un’impresa industriale, può essere disconosciuta se il Fisco ritiene che quella determinata operazione non abbia una ragione economica valida se non quella di pagare meno tasse. L’Agenzia (si veda anche MF-Milano Finanza di sabato 15 ottobre), ha avviato accertamenti in massa per contestare alle imprese (dopo averlo fatto con le banche) soprattutto operazioni strutturate concluse con controparti estere. Che il Fisco abbia ragione o meno nel disconoscere queste operazioni, il problema che sorge è un altro: quello penale. Procedimento tributario e procedimento penale, infatti, hanno percorsi paralleli ma separati. Questo significa che un eventuale accordo transattivo con l’Agenzia delle entrate non blocca il procedimento penale. Proprio come è avvenuto per Unicredit. Non solo. Dal 2008, le procure hanno in mano un altro potentissimo strumento, quello del «sequestro per equivalente». Da quell’anno, infatti, le norme sulla confisca per i reati penali, sono state estese anche ai reati tributari. Questo significa che quando ricorrono determinati presupposti, la confisca può essere anticipata da un sequestro preventivo equivalente in denaro del provento del reato. Proprio quello che è accaduto a Unicredit con il congelamento dei 245 milioni di euro sul conto della Banca d’Italia. Che l’abuso di diritto possa mettere in ginocchio l’economia, sembra essersene reso conto anche Befera. In una recente audizione in Senato ha chiesto di regolamentare questa fattispecie per dare maggiore certezza alle imprese. Possibilmente prima che scattino le manette per buona parte del sistema bancario e produttivo italiano. (riproduzione riservata)