Dimmi che contratto di lavoro hai e ti dirò che pensione avrai. La rendita che dovrà sostenerci nel periodo di vecchiaia, infatti, dipende non solo dalla retribuzione intascata quando si è stati lavoratori, ma anche dal tipo di occupazione che si è svolto. Questo perché la misura dei contributi da versare all’ente previdenziale per la futura pensione non è la stessa per i diversi contratti di lavoro. In alcuni, addirittura, non è nemmeno prevista la possibilità di pagarsi la pensione (quando si dice che non c’è copertura previdenziale). Un esempio? I tirocini. In altri casi, invece, anche se pagati, i contributi concorrono solo in parte alla futura pensione, come per i voucher: il taglio troppo basso delle prestazioni, infatti, fa sì che il contributo pagato serva a migliorare solo la pensione (e comunque di poco), ma difficilmente alla maturazione del suo diritto.
Di che lavoro vivi? Tipico, atipico, precario, subordinato, dipendente, autonomo, parasubordinato: i rapporti di lavoro acquistano sempre più variegate qualificazioni. Quando si parla di «lavoro», però, si è in genere spinti automaticamente a pensare al «lavoro dipendente», ossia al «rapporto di lavoro subordinato». Ma «lavoro» è pure l’attività dell’artigiano o del libero professionista. Nel mezzo tra lavoro «subordinato» e lavoro «autonomo», trovano collocazione una serie di rapporti di lavoro speciali. Talvolta molto più vicini al genere subordinato; altre volte a quello autonomo. E tra questi primeggia il rapporto di collaborazione coordinata e continuativa, più noto come «co.co.co.» o «co.co.pro.». Infine, c’è un’ultima zona, marginale, di prestazioni lavorative, alcune delle quali non danno nemmeno vita a un vero e proprio rapporto di lavoro. È il caso, per esempio, dei tirocini. Gli stage, infatti, non costituiscono rapporto di lavoro; perciò, il soggetto ospitante non è tenuto a pagare alcuna retribuzione né contribuzione. Il tutto ovviamente a danno del tirocinante, che per quei mesi di occupazione in azienda non otterrà alcun beneficio in termini pensionistici. Oltre agli stage vanno citati i voucher che servono a retribuire le prestazioni di lavoro accessorio, il cui svolgimento non dà diritto alle prestazioni a sostegno del reddito (come disoccupazione, maternità, malattia, assegni familiari), mentre prevedono il pagamento di un contributo utile alla pensione presso la gestione separata Inps (quella dei co.co.co.) in misura del 13% del buono lavoro.
Che pensione avrai. Alla tripartizione delle tipologie dei rapporti di lavoro (subordinato, autonomo e parasubordinato) si possono far corrispondere altrettante tipologie di contribuzione per la pensione. Il rapporto subordinato ha l’aliquota contributiva maggiore, pari al 33%, il che significa che un terzo di quanto va in busta paga finisce nel salvadanaio per la pensione. I lavoratori autonomi destinano invece alla pensione il 20% del proprio reddito annuale. Seguono i parasubordinati privi di altra copertura che investono in pensione il 26% del reddito o dei compensi. Infine, i professionisti che, a seconda della Cassa di previdenza, accantonano per la futura vecchiaia un 10-12% dei compensi. Sulle pensioni, dunque, i dipendenti sono più fortunati dei colleghi autonomi e parasubordinati anche perchè la maggior parte del costo contributivo è sopportato dall’azienda. Come dire, lavorano bene e invecchieranno anche meglio.