La vicenda Dexia è un perfetto déjà vu. Proprio come nel 2008, la società franco-belga specializzata nel finanziamento degli enti locali, ha bisogno di un robusto aiuto.
La differenza è che questa volta il sostegno finanziario potrebbe rivelarsi un mero palliativo.
Il problema ora è capire se questo significa che i contribuenti saranno chiamati nuovamente a farsi carico delle perdite per salvaguardare i creditori della banca.
I governi francese e belga, comproprietari di Dexia a seguito del precedente salvataggio, hanno assicurato martedì 4 che i risparmiatori e i creditori della banca sarebbero stati tutelati. Anche se questo sostegno serve a calmare i mercati nel breve periodo, la manovra presenta il pericolo di trasferire una maggiore quantità di rischio dal settore privato a quello pubblico. Questo gioco, che ha causato così tanta sofferenza in Irlanda, non può durare.
La situazione di Dexia sottolinea inoltre l’attuale fragilità delle banche europee. Nonostante tre anni di ristrutturazioni, la banca resta un istituto di finanziamento degli enti locali ad alta leva, molto esposto verso Grecia, Italia e Spagna, e le cui risorse finanziarie sono ampiamente insufficienti.
Alla fine di giugno, quando il monte prestiti di Dexia toccava la cifra di 518 miliardi di euro, le attività al dettaglio in Belgio e Turchia avevano generato depositi per non più di 88 miliardi. E nonostante Dexia abbia assicurato i necessari finanziamenti a lungo termine per quest’anno, l’instabilità dei mercati obbligazionari fa del 2012 un anno pieno di insidie.
Un altro problema è il capitale. Le perdite sulle cessioni di crediti problematiche hanno provocato, in giugno, la riduzione del rapporto Tier 1 della banca dal 12,3% di tre mesi prima al 10,3%. In più, la banca detiene ancora in portafoglio 1,4 miliardi di euro in titoli del debito pubblico greco, che andranno a scadenza prima del 2020, a fronte di un patrimonio totale di 8,8 miliardi di euro.
Con questo in mente, Bruxelles e Parigi sembrano pronte a stringere i denti cercando di cedere le attività in bonis di Dexia e creare una bad bank in cui collocare le attività problematiche per l’eventuale vendita in futuro. Il problema è che, con l’economia dell’area euro in rallentamento e la turbolenza dei mercati, è fin troppo evidente che saranno i contribuenti a pagarne ancora le spese per lungo tempo a venire.