Con la storica ordinanza n. 12714 del 2024 la Cassazione inverte la propria stessa interpretazione superando dopo molti anni la dicotomia tra animali selvatici e domestici
Mario Riccardo Oliviero
Sostenuta da una interpretazione della Corte Costituzionale, a lungo l’orientamento consolidato della Cassazione ha ricondotto la responsabilità per i danni causati dalla fauna selvatica al più ampio Art. 2043 del Codice Civile Risarcimento per fatto illecito: «Qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno» e non al più consono Art. 2052 Danno cagionato da animali, perché ritenuto riservato ai soli animali domestici: «Il proprietario di un animale o chi se ne serve per il tempo in cui lo ha in uso, è responsabile dei danni cagionati dall’animale, sia che fosse sotto la sua custodia, sia che fosse smarrito o fuggito, salvo che provi il caso fortuito». Una differenza giuridica fondamentale soprattutto rispetto al profilo probatorio e alle relative conseguenze anche di carattere assicurativo. Perché ai sensi dell’Art. 2043 del Codice Civile per ottenere il risarcimento dei danni si deve dimostrare: a) di aver subito un danno, b) il nesso eziologico tra l’azione e il danno subito, c) il comportamento colposo del danneggiante. Mentre ai sensi dell’Art. 2052 spetta, al contrario, al custode dell’animale, in questo caso la Regione, quale ente pubblico, dimostrare che la condotta dell’animale è stata imprevedibile e non era in qualche modo evitabile adottando delle precauzioni.
IL CASO
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