Stampa 3D e salute dei lavoratori, dall’Inail un vademecum per operare in sicurezza
La stampa 3D è stata definita la tecnologia che rivoluzionerà il mondo dell’industria, in quanto permette una rapida e semplice prototipazione, con costi di produzione relativamente bassi e facilità d’uso. Attualmente viene impiegata in diversi settori, come le industrie aerospaziali, automobilistiche, meccaniche, manifatturiere e medicali.
Essa consiste in un processo di realizzazione di oggetti tridimensionali a partire da un modello digitale, attraverso un metodo di produzione additivo.
Nasce nel 1986 e da allora si è evoluta molto velocemente, grazie all’introduzione di tecniche innovative e di innumerevoli materiali con diverse caratteristiche meccaniche.
Si prevede che il mercato delle stampanti 3D raddoppierà circa ogni tre anni: il loro utilizzo sempre più diffuso contribuirà ad aumentare l’esposizione professionale a vari rischi.
INAIL ha pubblicato un vademecum che vuole essere un documento di riferimento per l’individuazione di potenziali pericoli e rischi per la salute correlati all’utilizzo di queste macchine.
I rischi della Stampa 3D sulla salute degli addetti
La distribuzione dimensionale delle particelle utilizzate e prodotte durante i processi di AM rappresenta uno dei fattori principali per la valutazione dei rischi professionali, in quanto influenza il livello di progressione nelle vie respiratorie. Tali polveri potrebbero essere
inalate dagli operatori durante la fase di carico in macchina, durante la rimozione dei pezzi finiti e nelle fasi di manutenzione e pulizia della macchina stessa.
Tuttavia, secondo una recente pubblicazione dell’EuOsha, l’impatto quotidiano della stampa 3D sulla salute dei lavoratori addetti è ancora limitato, in quanto i rischi spesso sono simili a quelli tradizionali. Con l’aumentato utilizzo di tali tecnologie, però, potrebbero emergere nuovi rischi dovuti all’uso di materiali non convenzionali con possibili nuovi effetti sulla salute dei lavoratori.
Recentemente è stata evidenziata la pericolosità di alcuni VOC emessi durante la stampa 3D, che possono avere effetti avversi sul sistema respiratorio e cardiovascolare. È stato documentato un caso di ipersensibilità polmonare in un lavoratore esposto a polvere di nylon durante AM e un caso di riacutizzazione di asma lavoro-correlata in un giovane esposto a VOC rilasciati durante l’estrusione di ABS.
Inoltre, adulti sani esposti per brevi periodi a VOC e UFP di stampanti 3D desktop non hanno evidenziato alterazioni di biomarker infiammatori, ma hanno mostrato un aumento dei livelli di ossido nitrico esalato, spesso associato a patologie asmatiche allergiche.
Per quanto riguarda i nanomateriali, invece, la maggior preoccupazione deriva dal fatto che essi hanno proprietà uniche e non è ancora chiaro quale sia il potenziale di esposizione, la tossicità e la biodisponibilità derivanti dalla loro produzione e dal loro uso. Alcuni studi
quantificano il numero di particelle emesso per minuto dalle stampanti 3D, anche se tali valori non riflettono adeguatamente le concentrazioni di PM nell’ambiente di lavoro, un parametro fondamentale per determinare l’effetto sul lavoratore. Inoltre, sebbene non sia
strettamente correlata a tale processo, è noto che l’inalazione di nanomateriali può determinare infiammazione polmonare e asma.
In accordo con le attuali conoscenze, quindi, nonostante non sia da scoraggiare l’utilizzo delle stampanti 3D, bisogna prestare attenzione al loro utilizzo, soprattutto quando si impiegano più unità allocate in un unico ambiente. La concentrazione di VOC e PM, infatti, potrebbe essere alta e i lavoratori potrebbero andar incontro a disturbi respiratori.
Un altro aspetto fondamentale da considerare è la molteplice composizione dei filamenti utilizzati per la stampa; ai polimeri spesso si associano diversi tipi di additivi come coloranti, ritardanti di fiamma, antiossidanti e plastificanti, che possono avere un effetto sulla salute del lavoratore.
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