LOESER (ARCA FONDI): PUNTARE A UN 1% IN PIÙ DI RENDIMENTO PER LA RICCHEZZA PRIVATA
di Ugo Loeser
Ita la nostra compagnia di bandiera (bianca?) sarà venduta al fondo Certares, americano e basato a New York. Tim, il nostro gestore telefonico nazionale, è oggetto di un’offerta da parte del fondo Kkr, anch’esso americano e di Cvc, fondo inglese, che rileverebbe connettività e servizi Ict. Ardian, fondo francese, ha acquisito Biofarma, azienda farmaceutica italiana leader in Europa. Il leader nei sistemi di pagamenti italiani Nexi è di proprietà dei fondi Advent e Bain. Lo sviluppo dell’infrastruttura del Mind, il Milan Innovation District dell’area ex Expo, centro di eccellenza per la medicina e scienze della vita è finanziato da Cpp, fondo canadese. La lista è lunga e gli esempi potrebbero continuare.
Trasporti, telecomunicazioni, farmaceutica, fintech, infrastrutture, energia. Settori chiave per la crescita e per il futuro del paese.
Quando è in gioco l’assetto proprietario di un campione nazionale o di un player rilevante, i capitali italiani brillano per la loro assenza. Ma quali sono le ragioni di questa mancanza?
Gli Italiani non hanno forse i soldi? La Banca d’Italia ci informa che quest’anno la ricchezza finanziaria degli italiani ha superato i 5.000 miliardi di euro. Tre volte il pil. Cifre da capogiro. I risparmiatori italiani potrebbero lanciare un‘opa su Apple.
Queste iniziative non rappresentano forse delle buone opportunità di investimento? I dati disponibili mostrano che negli ultimi anni, la stragrande maggioranza degli investimenti istituzionali in private equity e in borsa hanno avuto rendimenti a doppia o tripla cifra, mentre in media gli investimenti retail, vista la situazione sui tassi, si sono dovuti accontentare di rendimenti prossimi allo zero.
Canalizzare il risparmio privato verso l’economia reale non è un obiettivo strategico? Se riuscissimo a ottenere un (non impossibile) 1% in più di rendimento sulla ricchezza finanziaria privata, aumenteremmo il pil italiano di 50 miliardi all’anno. Non solo, saremmo anche in grado di contribuire in modo sensibile alla crescita e lo sviluppo nazionale, assicurando nel contempo al sistema Italia un ruolo nel mercato dei capitali europeo e globale.
Posto che ci sono sia le opportunità che i capitali e posto che gli Italiani non sono sprovveduti, come mai domanda e offerta non riescono, dunque, a incontrarsi? Il problema non risiede nella scarsa dimensione della Borsa Italiana o nella scarsa efficienza del mercato, quanto nell’assenza di soggetti istituzionali di dimensioni rilevanti (100 miliardi +) con lungo orizzonte temporale ed elevata propensione al rischio (e conseguente elevata professionalità), in grado di effettuare investimenti in asset illiquidi, in infrastrutture o in imprese private.
I grandi fondi internazionali Advent, Bain, Kkr, Cvc, che selezionano le più interessanti opportunità di investimento al di fuori dei mercati regolamentati, ricevono infatti i loro capitali per una percentuale prossima al 100% da investitori istituzionali, gli unici che per dimensione, orizzonte temporale e propensione al rischio risultano compatibili con il tipo di investimenti sopra citati. Tra di essi la parte del leone è giocata dai fondi pensione che forniscono tra il 50 e l’80% dei capitali ai grandi fondi internazionali. In Italia i fondi pensione dispongono di patrimoni che rappresentano meno del 5% della ricchezza finanziaria delle famiglie e, a causa di una precisa scelta regolamentare, possono effettuare investimenti assimilabili a sostituti del conto corrente, piuttosto che a investimenti di lungo periodo. Se vogliamo che il risparmio degli italiani ottenga un rendimento maggiore e possa contribuire alla crescita e allo sviluppo del Paese e del suo mercato dei capitali, dobbiamo perseguire una incisiva e pervasiva riforma del comparto della previdenza sia in termini di dimensione che di regolamentazione. Consci delle implicazioni in termini di governance e controllo che questo comporta. (riproduzione riservata)
*amministratore delegato Arca Fondi sgr
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