Continua la situazione di surplace delle banche nei confronti di possibili aggregazione. Se ne parla molto ma non si realizza quasi nulla. La Bce per lungo tempo ha insistito sull’opportunità di concentrazioni transfrontaliere, mentre ora pare che l’orientamento sia per le aggregazioni in genere; diversi osservatori sostengono la necessità di una fusione che abbia funzione di leader a livello europeo.
In Italia sembra che il tema non interessi né le cronache né gli esperti. Quando si affronta l’argomento, al di là della formulazione di vaghe ipotesi, ci si concentra paradossalmente solo sulle banche di credito cooperativo, in specie su quelle in crisi. Di recente è stata data con grande clamore notizia della progettazione dell’istituzione di un veicolo, nell’ambito del Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi, per il salvataggio di bcc in difficoltà. Si tratta di un progetto tuttavia non proprio recente, le cui linee generali sono state in diverse occasioni indicate dal governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco. E’ comunque un’iniziativa da seguire attentamente, anche per aspetti che esigono chiarimenti, ma avendo presente che occorre anche agire a monte, a cominciare dalla Vigilanza esercitata su tali banche, che, con la pretesa di un’assimilazione di fatto degli istituti facenti parte di un gruppo bancario cooperativo a banche di maggiore dimensione con relativi vincoli e oneri, viola i principi di ragionevolezza, proporzionalità, adeguatezza, sussidiarietà. La stessa Direttiva Brrd sul bail-in, contestabile per diversi aspetti, lo è ancor più per le banche minori, per gli istituti cosiddetti del territorio. Si continua a parlare metaforicamente della protezione della biodiversità anche nel campo bancario ma, all’atto pratico ci si dimentica della diversità e sembra operarsi in senso contrario, facendo prevalere l’uniformità.
Salendo di livello nel settore bancario, se si esclude Bper che con una mossa rapida ha realizzato l’operazione Carige (la cui attuazione, dopo la recente decisione del Tribunale di Genova che ha annullato la sospensione della delibera assembleare, è su un binario veloce), si registrano soltanto molte parole. A difesa bisogna, tuttavia rilevare che il contesto non è dei più favorevoli per attuare forme di consolidamento, unendosi l’inflazione agli impatti della guerra contro l’Ucraina, agli effetti della pandemia, alle difficoltà delle relazioni geopolitiche. Si ipotizza un interesse di Unipol e della partecipata Bper per l’ex Popolare di Sondrio, ma finora, anche per la prudenza e la competenza dell’amministratore delegato della stessa Bper Piero Montani e del presidente di Unipol Carlo Cimbri, non si registrano passi concreti; anzi, Cimbri ha avuto modo in diverse occasioni di manifestare rispetto per l’autonomia della Sondrio e di ciò ha dato un segno concreto con il voto nell’assemblea che ha nominato nuovi consiglieri.
Potrebbe avere un senso un’aggregazione su basi convergenti, magari sui generi, tra due ex popolari che potrebbe a sua volta fungere da polo di coordinamento di altre popolari non soggette all’obbligo di trasformazione in spa? Sarebbe un resuscitare il progetto di moltissimi anni fa che era stato avanzato per le casse di risparmio, con la costituzione delineata da Roberto Mazzotta della Cassa di Risparmio Centrale, prima che si realizzasse la riforma della banca pubblica e lo scorporo tra fondazioni e banche spa. Ma non è detto che sia un’ipotesi da escludere a priori. E’ vero però che Montani è abituato a muoversi con grande oculatezza e a condurre a conclusione il lavoro intrapreso, nel caso quello riguardante la Carige e l’iniziale digestione delle filiali acquisite da Ubi Banca, prima di un nuovo rilevante impegno, che non è fuori dalla sua visione. Ma poi di tanto in tanto Bper viene tirata per la giacchetta perché guardi verso Mps con un’operazione che sarebbe ancor più impegnativa. Bper avrebbe la competenza tecnica per affrontare una sfida del genere, che però deve misurarsi con l’opportuno atteggiamento del vertice.
Ma a Siena, dove Mps ora si appresta a deliberare l’aumento di capitale per 2,5 miliardi, a un certo punto si è detto – senza conferme però – che tornerebbe a rivolgere gli occhi l’amministratore delegato di Unicredit Andrea Orcel. Avendo rifiutato la conclusione del negoziato a suo tempo avviato con il Tesoro, sicuramente Orcel, se l’ipotesi fosse fondata, riterrà che le condizioni sono diventate più favorevoli per l’aggregazione o spera che più favorevoli diventeranno dopo che la Commissione Ue ha accettato la proroga della dismissione della partecipazione del Tesoro e dopo l’avvio del piano di 3.500 esuberi su basi volontarie.
Altra immaginaria ipotesi di coinvolgimento in operazioni di aggregazione, dopo l’acquisizione di partecipazioni da parte del Crédit Agricole e Jp Morgan, riguarda il Banco Bpm, che sembra però dire «hic manebimus optime» con riferimento alla condizione stand alone in cui continua a conseguire importanti risultati. Con gli azionisti al momento sembrano prevedersi solo accordi commerciali.
A Sud non è ancora chiara la prospettiva della ex Popolare di Bari rispetto all’ipotesi di poter fungere da polo aggregante di popolari minori meridionali che conservano la propria identità e i rapporti con la clientela. Su ipotesi alternative sicuramente rifletterà anche Bernardo Mattarella, particolarmente esperto anche nel campo bancario, amministratore delegato di Invitalia che ha la proprietà del Mediocredito Centrale, il quale a sua volta è titolare della ex popolare anzidetta.
Insomma, molto rumore per nulla? Il fatto è che, se le aggregazioni sono ritenute opportune per la stabilità, l’efficienza, la concorrenza, i rapporti con famiglie e imprese, allora una funzione di propulsione da parte delle autorità monetarie non sarebbe ingiustificata o un’indebita ingerenza nelle scelte aziendali. Più volte abbiamo sottolineato come specifiche norme intervengono in aspetti che bisognerebbe lasciare all’autonomia degli intermediari, mentre si manifestano scrupoli di super-gestione nel campo delle aggregazioni. Naturalmente vale anche l’opposto: se le concentrazioni fossero considerate inopportune, sarebbe importante dare un segnale in tal senso. Non si vuole il piano regolatore del credito, ma da qui a limitarsi alla funzione di osservatore ce ne passa, per poi porsi il problema, agendo a posteriori, di come aggregare istituti caduti in crisi. Il dirigismo è una cosa e va senz’altro evitato; altra cosa è una chiara funzione di indirizzo. Se la si dovesse contestare, verrebbe meno una parte dell’impianto della normativa speciale per il credito. (riproduzione riservata)
Fonte: