di Serena Brando
Il settore assicurativo italiano si accinge «alla ripartenza» in uno scenario di premi stagnanti e oneri per sinistri in inevitabile aumento rispetto ai passati 18 mesi. Per questo, l’evoluzione del modello operativo verso soluzioni strutturalmente più efficienti e tecnologiche si prospetta come l’unica strada concreta e pragmatica per ri-scalare i costi su un «nuovo livello» sostenibile, permettendo competitività dei ritorni. Il Covid-19 ha esacerbato i trend ben consolidati già in atto, e da oggi – con «la ripartenza» – verrà anche inevitabilmente meno lo sgravio extra-ordinario delle spese per i sinistri, per effetto combinato della ripresa della «normale» circolazione in strada, del ritorno all’operatività quotidiana nelle aziende e del proliferare dei «sinistri della disperazione», dovuti alla mortalità delle pmi duramente colpite dalla crisi pandemica.
Abbassare significativamente la curva dei costi operativi attraverso la profonda ristrutturazione delle operations e del «modo di fare assicurazione» è il sentiero obbligato per preservare la redditività del business. Due a nostro avviso gli ambiti prioritari di intervento.
Il primo, tattico e di breve termine, di intervento sulle sovrastrutture e ridondanze organizzative e operative tipiche di un settore tradizionalmente florido, con azioni quali il consolidamento e l’accentramento delle operations e il monitoraggio frequente e vincolante dell’avanzamento dei Kpi di efficienza operativa.
Il secondo ambito, strategico e di lungo termine, deve portare invece a una trasformazione strutturale del modello operativo, con eliminazione o sostanziale re-disegno di interi comparti di attività labor-intensive e a basso valore aggiunto, attraverso l’introduzione massiva di tecnologie quali Rpa (Robotic Process Automation), Ocr (Optical Character Recognition) e Nlp (Natural Language Processing), la riduzione degli organici complessivi e la riqualificazione delle professionalità in chiave digital. A fronte di razionali per il cambiamento oramai acclarati, la strada per la trasformazione è disseminata di diversi fattori ostativi. Tre i principali. La legacy di cultura manageriale imperante nel settore, che identifica nel numero di risorse una misura tangibile del potere individuale. È urgente un cambio di paradigma culturale (molta meno prosopopea….) per rifocalizzare gli obiettivi su efficienza di costo e livello di servizio. Il secondo sono gli investimenti necessari e gli inevitabili tempi lunghi per l’impatto benefico sul conto economico, ben oltre la durata media dei mandati dei Ceo. Infine, si tratta di un sentiero «non ancora battuto» e la direzione è tutt’altro che ovvia. Il ripensamento del modello operativo deve essere radicale e purtroppo non ci sono veri (e tantomeno ovvi) riferimenti o precedenti a cui ispirarsi, se non volgendo lo sguardo verso altri settori, più avanti nella curva evolutiva. La strategia conservativa fatta di piccoli cambiamenti incrementali non sarà foriera di successo. Occorreranno coraggio, appetito per il rischio «ragionato», ponderato bilanciamento tra «l’ansia da trimestrale» e «le cose giuste da fare» con genuino trial & error di innovazione per puntare alla competitività di lungo termine. (riproduzione riservata)
*Boston Consulting Group