di Angelo De Mattia
Evocare, come fa qualcuno, l’ipotesi della calata dello straniero sulle Generali quando Leonardo Del Vecchio e Francesco Gaetano Caltagirone stipulano (attraverso le loro società) un patto di consultazione, che però lascia liberi entrambi di assumere le proprie determinazioni per la partecipazione alle assemblee e l’esercizio del diritto di voto, appare chiaramente irrealistico e strumentale. Almeno fino a quando non si abbiano sufficienti elementi (qui ritenuti per ora impossibili) alla base di questi forzati timori. non si capisce, d’altronde, perché prima dell’aumento delle partecipazioni di entrambi gli azionisti, sia in Mediobanca, sia nel Leone, non siano stati lanciati allarmi sulla discesa dei potenziali «conquistatori» e lo si faccia, invece, ora quando due italiani decidono di far valere i numeri e il peso (per rimanere ai modi con cui Enrico Cuccia giudicava gli azionisti) delle loro partecipazioni in entrambi gli intermediari. E, per di più, non lo si fece, se non a giochi scoperti, quando, regnando Maranghi successore di Cuccia e dominus di Mediobanca, si stava dispiegando un attacco franco-italiano alle Generali, bloccato dalla Banca d’Italia e da alcuni principali istituti di credito e Fondazioni.
Del resto oggi il principale esponente della compagnia è un francese, Philippe Donnet, amministratore delegato, che proprio gli oppositori delle iniziative di Del Vecchio e Caltagirone vorrebbero, invece, confermare per un terzo mandato alla scadenza del prossimo anno, anche se si fa vanto di avere di recente ottenuto la cittadinanza italiana. Ma, poi, dovrebbe rassicurare anche i cultori della fantafinanza il fatto che la Consob è senz’altro all’erta su questa vicenda con i suoi poteri, innanzitutto in materia di trasparenza e correttezza.
Su queste colonne avevamo sostenuto la necessità, quando si diffondevano le notizie sull’aumento delle partecipazioni dei due azionisti in entrambi i citati intermediari, di fare chiarezza sui reciproci rapporti e sulle intenzioni. La pubblicazione del patto va in questa direzione. Ora però occorre che siano trasparenti le strategie. I sostenitori del patto chiedono, sia chiaro, distintamente, discontinuità nella gestione. Se effettivamente esiste un’alternativa intorno al primo azionista del Leone (Mediobanca con il 13%) devono essere chiari i contenuti di tale posizione.
Se si contesta la mancanza di una strategia di crescita per linee esterne e la progressiva perdita di terreno del Leone nei confronti di Allianz, Axa e Zurich, occorre essere in grado di rispondere, per esempio da parte di Mediobanca. E se vengono tratte le conseguenze da queste carenze in termini di governance e dei relativi responsabili, ugualmente bisogna rispondere. Non è più il tempo in cui tutto era ovattato a Trieste e poteva essere orchestrata, con infelici dichiarazioni, una specie di campagna anti-gestione della presidenza Geronzi durante la quale, invece, si volevano introdurre doverose innovazioni che poi altri sono stati comunque costretti a introdurre. All’epoca è utile ricordare che il casus belli fu innescato dal richiamo formale, con una breve nota a firma del presidente, della norma del codice civile la quale impone che la risposta a richieste di informazioni da parte di azionisti, spesso anche consiglieri, sia data nel consiglio di amministrazione, a disposizione di tutti. Insomma, sono i contenuti delle diverse posizioni che debbono essere trasparenti, anche con riferimento all’aumento di capitale, la cui esigenza viene prospettata da una parte da almeno 15 anni, senza che, però, si passi fin qui alle decisioni. Oggi in un’informale riunione dei consiglieri indipendenti della compagnia si dovrebbe approfondire il tema della lista per il rinnovo, ad aprile 2022, degli organi deliberativi e di controllo.
Entro il mese si dovrebbe riunire per delibere al riguardo il consiglio di amministrazione. Si tratta di decidere se attivare la norma statutaria che dà anche al consiglio uscente la facoltà di proporre una propria lista o no. Si tratta di una previsione «dinastica» che non si attaglia affatto all’identikit del Leone e si traduce in un’autocefalia che sarebbe bene evitare. Ma, questa è la punta dell’iceberg. Sotto vi sono, come si è accennato, le questioni di strategie, di innovazioni, di peso nella governance.
Non si tratta, quindi, soltanto di confermare o no Donnet nella carica, decisione pure importante. Ma essa va accompagnata, rendendo esplicita nei contenuti la discontinuità che si vuole o, per i contrari, la continuità che si ritiene, invece,debba affermarsi. Parlare finalmente di contenuti è forse l’uomo che morde il cane. Eppure è l’unico modo perché la vicenda non appaia una questione di meri poteri confliggenti (come qualcuno vorrebbe sembrasse per destituirla di importanza, prima ancora che si vada in medias res) e possa tenere insieme, nel chiarimento, Generali e Mediobanca. (riproduzione riservata)
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