di Carlo Giuro
Parafrasando il titolo del celebre film di Gabriele Muccino con Will Smith, il futuro sembra essere sempre più improntato alla ricerca della longevità. Il progressivo invecchiamento della popolazione, fenomeno molto accentuato in Italia, pone infatti la necessità di costruire per tempo un portafoglio del welfare per far fronte ai nuovi rischi. Particolarmente eloquente in questa prospettiva è la recente Indagine campionaria del Mefop da cui emerge come tra le principali preoccupazioni degli Italiani vi siano le pensioni inadeguate (39%) e la malattia/non autosufficienza (38%). Come dotarsi per immunizzarsi opportunamente per una maggiore serenità prospettica? Partendo dal primo aspetto, la via da percorrere è quella della previdenza complementare, da intendersi come un salvadanaio per la pensione da alimentare lungo la propria vita lavorativa con la contribuzione e, se si sia lavoratori dipendenti con quota parte o tutto il tfr, e da tradurre in quiescenza in una rendita vitalizia (calibrata sulle proprie esigenze personali e familiari, si pensi alla reversibilità o alla controassicurazione) o massimo con un 50% sotto forma di capitale e un 50% comunque sotto forma di rendita. Lo strumento può essere, nel caso in cui si sia lavoratori dipendenti il fondo pensione negoziale, per beneficiare del contributo datoriale, mentre nel caso degli autonomi o dei liberi professionisti la via è quella dei fondi pensione aperti e dei piani individuali pensionistici (pip). Per la scelta concreta va valutata la architettura finanziaria della soluzione (possibilità del multilinea, vale a dire poter ripartire tra più linee i propri risparmi per diversificare in senso orizzontale, presenza del life cycle, che raffredda la rischiosità dell’investimento all’approssimarsi dell’età pensionabile), i rendimenti passati (che sono una testimonianza di capacità in ogni modo ma non una promessa per il futuro) e il livello di onerosità. Così come evidenzia la Covip ipotizzando che dopo un periodo di partecipazione di 35 anni il capitale accumulato sia di 100 mila euro, un Indicatore sintetico di costo del 2% invece che dell’1% comporta una riduzione del capitale di circa il 18% (ovvero 82 mila euro). In ottica di consapevolezza e di trasparenza va poi sottolineato come sul sito della Covip sono pubblicati gli Indicatori sintetici di costo e i rendimenti delle diverse soluzioni presenti sul mercato. Il rischio salute. Profilo di particolare rilevanza è poi legato al come coprirsi dal rischio salute. Se infatti la spesa sanitaria italiana è in linea con la media Ue (9% del pil), la componente privata appare concentrata sulla componente out of pocket, ovvero quella che è sostenuta cioè direttamente dai cittadini. Oltre il 90%, contro il 59% della Francia, il 75% del Regno Unito e il 61% degli Usa. Spesso ci si copre nei confronti dell’insorgenza di bisogni sanitari con forme di autoassicurazione come mantenere i propri risparmi in forma precauzionale piuttosto che sottoscrivere soluzioni ad hoc di tipo collettivo (fondi sanitari) o assicurativo di tipo individuale (polizze sanitarie). I fondi sanitari sono soprattutto legati al mondo del lavoro, spesso nell’ambito di piani di welfare aziendale, e offrono sia servizi di prevenzione che il rimborso di visite specialistiche anche attraverso network convenzionati, assistenza, interventi. Vi è poi, soprattutto per i lavoratori autonomi e i liberi
professionisti la cui Cassa non preveda coperture ad hoc, la via delle polizze sanitarie individuali. Il trend di mercato recente sembra essere sempre più quello di evolvere da soluzioni semplici e standardizzate, associate alle singole necessità, ad offerte modulari per rispondere alle esigenze peculiari del singolo assicurato. È un approccio integrato che guarda al complesso dei bisogni di protezione, raccolti sotto un unico ombrello. Per la copertura del rischio di non autosufficienza (presente in molti fondi sanitari) si sta sviluppando poi il segmento delle polizze long term care. La frontiera salute/innovazione tecnologica. È intanto in fase di sviluppo poi la frontiera salute/innovazione tecnologica. Come sottolinea l’Ivass in un suo recente report, alcuni gruppi assicurativi stanno investendo molto nelle sinergie con startup che si occupano della salute digitale. Tra i progetti di collaborazione rilevati rientra un’app per smartphone pensata per controllare e prevenire i rischi legati all’ipertensione. Attraverso un algoritmo interpretativo che rileva le variazioni della pressione arteriosa il cliente riceve, via smartphone, un programma personalizzato che include: una dieta giornaliera, consigli per l’attività fisica e la programmazione della misura zione della pressione. Un altro esempio è rappresentato dal coach posturale digitale, un piccolo device da indossare e calibrare all’altezza della clavicola che corregge la postura, attraverso un’app dedicata, sia in delordosi che in cifosi; l’utente viene avvisato della postura scorretta attraverso una lieve vibrazione del dispositivo. Tra le nuove ideazioni figurano i test clinici in mobilità; con il supporto di una specifica app è possibile effettuare il test del sangue, delle urine e della saliva, applicando il campione biologico prelevato sull’apposita striscia reattiva; quest’ultima viene inserita in un device di misurazione (smart meter) che in pochi minuti analizza e restituisce i risultati via bluetooth direttamente sullo smartphone, da condividere poi con un medico per ottenere una diagnosi. Si riscontrano inoltre soluzioni orientate al wellness che sviluppano percorsi di prevenzione, incentivano l’attività fisica, la corretta alimentazione e il benessere psicologico. Ciò avviene anche sfruttando le funzionalità delle piattaforme digitali di cui alcune compagnie si avvalgono: consulti telefonici o video con medici generici, cartelle cliniche elettroniche su cui caricare i propri dati e referti sanitari oltre che quelli acquisiti da wearable e app salute, l’accesso al network di cliniche convenzionate con la compagnia di assicurazione. La fiscalità. Da non dimenticare i notevoli benefici fiscali di cui la previdenza complementare è portatrice, dalla deducibilità dei contributi fino al limite annuo dei 5.164,57 euro alla tassazione ridotta dei rendimenti con aliquota del 20% invece del 26% previsto per le altre rendite finanziarie, all’imposta sostitutiva sulle prestazioni del 15% che si riduce dello 0,3% per ogni anno di durata superiore al quindicesimo con un minimo del 9%. Per quel che riguarda poi i fondi sanitari, i contributi
di assistenza sanitaria a carico del datore di lavoro o del lavoratore non concorrono a formare il reddito di lavoro dipendente e quindi beneficiano del regime di esenzione fiscale per un importo complessivamente non superiore a 3.615,20 euro. Tale agevolazione fiscale è riconosciuta a condizione che i contributi siano versati in conformità a disposizioni di contratto o di accordo o di regolamento aziendale e che la cassa assistenziale operi negli ambiti di intervento stabiliti con decreto ministeriale della salute e quindi sia iscritta nell’apposita sezione dell’Anagrafe dei fondi sanitari del ministero della Salute. Qual è il regime fiscale delle polizze che coprono il rischio salute (distinte per: sanitarie, infortuni, long term care)? Per quel che riguarda le polizze sanitarie il vantaggio fiscale c’è nel caso in cui vi siano coperture premorienza, invalidità permanente e long term care. In particolare, dall’Irpef lorda si detrae un importo pari al 19% dei premi per assicurazioni aventi ad oggetto il rischio morte o invalidità permanente (non inferiore al 5% e derivante da qualsiasi causa, sia infortuni che malattia) per un importo complessivamente non superiore a 530 euro e il rischio di non autosufficienza nel compimento degli atti della vita quotidiana per un importo complessivamente non superiore a 1.291,14 euro (al netto dei premi aventi ad oggetto il rischio morte o invalidità permanente). (riproduzione riservata)
Reale Mutua, focus sugli over 65
In Italia sono 600 mila le persone che soffrono di Alzheimer e che si trovano a confrontarsi, ogni giorno, con un progressivo declino della memoria e delle capacità cognitive, fino all’impossibilità di portare a termine persino i compiti più semplici. Numeri importanti di un fenomeno che però ha anche un altro volto: quello dei famigliari che, in molti casi, si fanno carico in prima persona dell’assistenza al loro parente. Un’attività spesso svolta in maniera informale, che per ben un italiano su tre (30%) ha il suo impatto più forte e complesso da gestire, sulla sfera psicologica ed emotiva. Lo rileva l’ultima ricerca dell’Osservatorio di Reale Mutua sul welfare che, in occasione del mese dell’Alzheimer, ha accesso un faro sui caregiver e su come gli italiani percepiscano l’assistenza da loro prestata, tra ruoli, difficoltà e bisogni di fronte alla patologia. «L’Alzheimer ha un forte impatto sulle famiglie in termini di costi, oneri di assisten
za e cura e anche, come confermato dal nostro Osservatorio, carichi psicologici ed emotivi», commenta Michele Quaglia, direttore commerciale e brand del gruppo Reale Mutua. «Se guardiamo ai trend demografici, i dati ci dicono che in Italia ci sono 13,8 milioni di ultra 65enni, il 23% della popolazione, ed è in corso un continuo fenomeno di invecchiamento. È quindi importante affiancare le famiglie, che in gran parte fanno fronte da sé ai compiti di assistenza, con soluzioni di welfare dedicate. A partire dai prodotti Long term care (Ltc) che proteggono dal rischio di non autosufficienza, passando per i servizi di tutoring medico personalizzato per fornire informazioni e consigli utili, al supporto psicoterapeutico, alle sedute di orientamento e counseling, fino a servizi pratici come la consegna della spesa a domicilio e alle diverse prestazioni di assistenza domiciliare, che possono sostenere e affiancare l’operato del caregiver», conclude Quaglia. (riproduzione riservata)
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