di Debora Alberici
Il cliente che paga più imposte non ha diritto a essere risarcito dal commercialista se non lo ha autorizzato espressamente ad aderire al regime agevolato.
È quanto affermato dalla Suprema Corte di cassazione che, con l’ordinanza numero 21944 del 2 settembre 2019, ha respinto il ricorso di un’agenzia di viaggi che chiedeva alla sua consulente il risarcimento per aver pagato più Iva rispetto a quella dovuta.
In particolare, ad avviso del Collegio di legittimità, l’Agenzia di viaggio per beneficiare del regime di cui all’art. 74 ter comma 2 del dpr n. 633 del 1972 deve essere abilitata, innanzitutto, all’esercizio della sua attività e, quindi, deve avere l’autorizzazione di cui all’art. 9 della legge n. 217 del 1983 (che abilita, appunto, all’esercizio). Sarebbe, infatti, estremamente illogico che il legislatore da una parte vieta di esercitare l’attività senza autorizzazione e nello stesso tempo consente, sempre in assenza di autorizzazione di fruire del regime di cui all’art. 74 ter, appena citato.
Pertanto, contrariamente a quanto sostiene la difesa della società, l’autorizzazione rappresenta nel sistema della normativa richiamata il presupposto necessario per applicare il più agevolato metodo di calcolo dell’Iva previsto dalla stessa normativa di cui all’art. 74 ter del dpr n.633 del 1972. Ora il verdetto è divenuto definitivo e l’Agenzia di viaggi, nonostante l’Iva versata in eccesso, non incasserà il risarcimento dalla consulente.
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