Gli Etf sono l’ultima tappa del percorso di diversificazione della gamma di prodotti offerti nei suoi 12.800 uffici. Si va dalle polizze ai fondi, dalle carte di pagamento ai certificati. Una strategia che paga? In borsa titolo ai massimi
di Lucio Sironi
Buoni (postali) ma non troppo. Il percorso di graduale apertura avviato dalle Poste Italiane ormai da qualche anno, sia pure inizialmente non privo di qualche passo falso, procede senza accelerazioni ma anche senza eccessive titubanze. La diversificazione dell’offerta finanziaria agli sportelli ha raggiunto una tappa importante nei giorni scorsi, con l’accordo stretto con MoneyFarm, società di gestione del risparmio basata su tecnologie digitali per mettere a disposizione dei clienti di Poste anche gli Etf (Exchange traded fund). Strumenti decisamente alternativi rispetto al piatto forte della casa, ossia i classici buoni postali, per decenni sicura fonte di rendimento per milioni di italiani ma oggi, in epoca di tassi d’interesse sottozero, decisamente meno appetibili. L’apertura verso gli Etf del gruppo guidato dall’aprile 2018 da Matteo Del Fante è comunque la conferma di una strategia di ampliamento dell’offerta di prodotti, tessuta cercando partner sul mercato con cui partecipare al business di turno (tant’è vero che l’intesa comprende anche l’ingresso nel capitale di MoneyFarm, attraverso un aumento di capitale riservato da 40 milioni). In precedenza si era fatto lo stesso con i fondi comuni, con i mutui immobiliari, con le polizze assicurative (soprattutto vita, ma anche danni e di recente anche quelle Rc auto) e con i prestiti personali. In altre parole, tutto quello che si può trovare tradizionalmente in banca, con in più il fatto di poter contare su una struttura distributiva senza pari in Italia: 12.800 uffici postali e 1,5 milioni di clienti.
La ricerca di alleati su più fronti è stato il filo conduttore di questa strategia di ampliamento del raggio d’azione di Poste, sia pure con qualche eccezione, in base alle opportunità. Nel segmento dei pagamenti, per esempio, la scelta è stata quella di optare per un modello fatto in casa. Per il resto invece si è svariato a tutto campo. Ovviamente il partner principale del gruppo resta la Cassa Depositi e Prestiti, che di Poste Italiane tra l’altro è azionista con una quota del 30% e per conto della quale il gruppo postale colloca i celeberrimi buoni e libretti postali. La stima di raccolta tra il 2018 e il 2020 è compresa tra 4,65 e 5,55 miliardi, un risparmio che poi Cassa destina in vari modi allo sviluppo del Paese.
Sul fronte del risparmio gestito l’idea ispiratrice è stata quella di muoversi attraverso una piattaforma aperta, così a dicembre Del Fante ha firmato un accordo con Anima , di cui Poste Italiane già deteneva una partecipazione del 10%, per prolungare l’intesa di 15 anni che comprende anche un’attività di formazione di chi siede agli sportelli postali in materia di risparmio gestito. A questo si è aggiunto poi un ampio accordo con Intesa Sanpaolo che riguarda i fondi comuni di Eurizon Capital, proposti a loro volta ai clienti di Poste. Stesso trait-d’union in ambito fondi comuni è stato creato con Amundi (SocGen ).
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C’è poi, assai interessante, il fronte assicurativo, che le Poste hanno cominciato ad affrontare nel 1999 guardando al mercato delle polizze vita. In questo caso il gruppo scelse di fondare una propria compagnia, Poste Vita, diventata in pochi anni leader con una quota superiore al 20%, testimonianza tangibile della forza distributiva espressa dalla rete dei suoi uffici, dove gli italiani si sono abituati rapidamente a fare riferimento, oltre che per sottoscrivere buoni fruttiferi, pagare multe e spedire raccomandate, anche per questo tipo di servizi. E a proposito di multe e di auto, le coperture assicurative a cui Poste sta guardando per ampliare la gamma dell’offerta è proprio quella obbligatoria del rischio civile (Rc auto), un ambito dove la ricerca di un partner da selezionare in base al rapporto qualità/prezzo è da considerarsi a buon punto. L’ambizione di crescere nelle polizze danni è dichiarata del resto nel piano industriale in corso che prevede di passare da 400 mila contratti (fine 2017) a 2 milioni entro il 2022, non solo attraverso coperture Rc auto ma anche in altri rami come quello della salute e degli infortuni e anche in questo caso la ricerca di alleati è la soluzione più probabile.
Un segmento ben presidiato da Poste, data la varietà di utenti con cui è a contatto, è quello dei prestiti personali. Qui i partner sono diversi, da Deutsche Bank a Compass e Findomestic, mentre nella cessione del quinto il punto di riferimento è Bnl Finance. In questi comparti l’elenco delle collaborazioni pare destinato ad allungarsi, visto che il maggiore contribuito alla crescita, come indicato nel piano industriale, dovrebbe arrivare proprio da prestiti e mutui (anche in questo caso c’è un accordo con Deutsche bank ) per i quali il management ha preventivato un balzo da 2,6 a oltre 6 miliardi di erogato entro il 2022. In ballo ci sono anche i servizi di pagamento, dal momento che i bollettini postali possono essere pagati anche tramite i canali fisici e remoti di Intesa Sanpaolo e Banca 5 (la ex Banca dei Tabaccai). In questo ambito rientra anche l’alleanza con Eni che riguarda sistemi per pagare rifornimenti di carburanti e bollette di gas ed energia elettrica.
Poste comunque non dimentica di essere un gruppo di consegne e recapiti e per stare al passo su questo fronte ha stretto un accordo di durata triennale con Amazon . (riproduzione riservata)
Il modello è Schwab
di Roberta Castellarin e Paola Valentini L a rivoluzione digitale sta interessando tutto l’universo del mondo del risparmio, compreso quello della consulenza. E la risposta che è giunta da Poste Italiane è stata appunto la partnership stretta con MoneyFarm per l’offerta di portafogli di investimento automatizzati e a basso costo. Ma in che cosa consiste in pratica questo accordo? Il gruppo guidato dall’ad Matteo Del Fante distribuirà un servizio di gestione patrimoniale in Etf che conta sette linee. Moneyfarm si occuperà di definirle e gestirle attraverso specifici algoritmi che sono alla base del suo modello di robo-advisory, la consulenza digitale low cost in Etf. E proprio i robo advisor possono rappresentare il consulente finanziario online ideale per iniziare a investire. Già a febbraio uno studio di Mediobanca Securities avvertiva che Poste Italiane era tra le (poche) società italiane che potevano abbracciare il modello di successo del noto broker Usa, Charles Schwab, fondato su un’offerta capillare con costi ridotti. Ora gli analisti di Piazzetta Cuccia, a seguito dell’accordo con Moneyfarm, sono tornati a ribadire il concetto: «Poste Italiane è impostato per diventare lo Schwab italiano», hanno detto. «La sua piattaforma si sta progressivamente formando con uno strumento robo advisor fornito da BlackRock già in funzione (Aladdin, ndr), la nuova partnership con MoneyFarm per offrire portafogli gestiti efficienti in termini di costi e digitalizzati, una rete di 9 mila consulenti negli uffici postali e sul campo e un gruppo di relationship manager di alto livello alla sede di Milano per offrire consulenza alla parte più sofisticata della base clienti». Charles Schwab prevede servizi di consulenza diversificati che consentono ai clienti di scegliere il livello più appropriato di offerta di cui hanno bisogno e di pagare per quello, indipendentemente dall’ammontare degli attivi. Anche dal punto di vista del pricing, il modello mostra costi più contenuti e va dalle zero commissioni richieste per l’investimento automatico fino a un massimo dello 0,9% per le soluzioni più sofisticate. Una formula simile l’ha adottata di recente Euclidea sim, che ha rivoluzionato l’offerta abbandonando la tradizionale segmentazione per ricchezza: è infatti il cliente a scegliere tra i portafogli digitali e quelli con un professionista dedicato, in base alle sue esigenze e a prescinde
re da quanto ha in gestione. Ma è un’eccezione un mercato dove domina il modello in cui al crescere delle masse dell’investitore aumenta anche il livello di servizio offerto e quindi anche le relative commissioni. Secondo Mediobanca Securities «l’attuale schema di commissioni non è efficiente per la clientela, ma conviene alle società». Gli analisti sottolineano che «dalla nostra analisi emerge che in media ci sono dieci interazioni l’anno tra cliente e consulente e, assumendo che i due terzi siano telefonate, si arriva a una media di tre incontri all’anno. Inoltre molti prodotti sono solitamente molto standardizzati». Certo, trattandosi di medie, è probabile che ci siano alcuni clienti seguiti in modo capillare e altri che non necessitano di un servizio di questo tipo. Tuttavia, pur con tutta la prudenza necessaria quando si interpretano le statistiche, secondo Mediobanca questi dati confermano la tesi che «ci sono clienti che dovrebbero pagare commissioni più basse perché hanno bisogno di un servizio più light, mentre in altri casi il pricing attuale è corretto vista la frequenza delle interazioni». (riproduzione riservata)
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