Unicredit sarà l’ago della bilancia nel confronto tra Del Vecchio e la merchant Ma Mustier dovrà muoversi con cautela per non vedersi contestare il controllo di fatto. Come emerge dalle norme che disciplinano la governance e dai provvedimenti Antitrust
di Luca Gualtieri
Anche se la quota fosse ridotta, la fusione con Capitalia consentirà a Unicredit di esprimere, tanto nell’accordo di blocco quanto nelle assemblee, una posizione unitaria che sarà certamente determinante nelle strategie di Mediobanca . Con queste parole nella tarda estate del 2007 l’Antitrust autorizzava il matrimonio tra Unicredit e Capitalia e, indirettamente, il profondo rimescolamento degli equilibri di potere in Piazzetta Cuccia e nelle Generali . L’emergere nella merchant di un unico azionista forte (con in mano il 18,07% del capitale e il 37,7% delle azioni sindacate) era l’effetto più macroscopico di un’integrazione che avrebbe proiettato Alessandro Profumo anche al 4,8% del Leone. Per ottenere luce verde dall’authority guidata allora da Antonio Catricalà Unicredit assunse una serie di impegni, alcuni dei quali rimangono vincolanti tutt’oggi. La quota in Mediobanca ad esempio sarebbe scesa dal 18,07% all’8,68%, fermi restando alcuni paletti sul profilo dei compratori. In secondo luogo Unicredit sarebbe uscito dal Leone, impegnandosi a non stringere accordi con la compagnia finché fosse rimasto socio di Mediobanca . Ma soprattutto non avrebbe potuto aumentare la partecipazione nella merchant milanese, né direttamente né indirettamente. Un limite che, salvo piccole limature, resta in vigore ancora oggi.
Malgrado tutto però, spiega il provvedimento dell’Antitrust, Unicredit avrebbe mantenuto un ruolo «determinante» nelle strategie di Mediobanca . Al punto che, solo qualche mese prima, i vertici della merchant erano intervenuti sulla governance per coprirsi le spalle: oltre al passaggio al sistema duale, il nuovo statuto prevedeva infatti che l’amministratore delegato fosse scelto tra chi era dirigente del gruppo da almeno tre anni. Una mossa di sapore cucciano volta ad arginare l’influenza di Unicredit dopo che la libertà di manovra del management era già stata fortemente imbrigliata dalle norme introdotte qualche anno prima, alla cacciata di Vincenzo Maranghi.
Che però l’equilibrio raggiunto fosse alquanto precario lo attesta la conferma della misura un anno dopo, al momento del ritorno al modello tradizionale. «Lo statuto proposto», spiega la relazione all’assemblea del 28 ottobre 2008 che approvò l’atto, «contempla un sistema basato su ampie deleghe per la gestione corrente al comitato esecutivo e all’amministratore delegato. Il che comporta, in continuità con il sistema dualistico, la valorizzazione della professionalità del management e l’autonomia rispetto a posizioni di potenziale conflitto di interesse».
Dieci anni dopo molte cose sono cambiate per Mediobanca , a partire dagli assetti di controllo che vedono un ridimensionamento degli azionisti storici, una larghissima presenza di investitori istituzionali e una progressiva evoluzione verso il modello di public company. Traguardi che renderebbero senza dubbio anacronistica la clausola sull’amministratore delegato, se Unicredit non fosse ancora un azionista «determinante», come lo aveva definito l’Antitrust. Determinante di certo sarà nella partita che si giocherà tra i vertici di Mediobanca e Leonardo Del Vecchio, salito pochi giorni fa al 6,94% per un esborso di circa 600 milioni. Nella city milanese circola da qualche giorno l’ipotesi che il prossimo 28 ottobre Delfin possa presentarsi in assemblea e chiedere la modifica di quegli articoli dello statuto che oggi garantiscono l’autonomia del management. Una mossa ambiziosa che richiederebbe all’imprenditore la sponda di altri azionisti per raggiungere le maggioranze qualificate richieste per l’assemblea straordinaria.
Ecco perché Unicredit potrebbe rilevarsi l’ago della bilancia, condizionando l’esito dell’assise in un senso o nell’altro.
Ma l’amministratore delegato Jean Pierre Mustier dovrà muoversi con grande cautela per non farsi contestare quel controllo di fatto che 12 anni fa era stato parzialmente arginato. Non a caso in questi giorni il banchiere francese si sta mantenendo a distanza di sicurezza dalla partita, ostentando la sua proverbiale indifferenza per la finanza italiana. Presto però dovrà scoprire le carte, con conseguenze decisive per la governance di Mediobanca e delle Generali . (riproduzione riservata)
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