Potrebbe essere una guerra d’altri tempi, quella non ancora scoppiata né tanto meno dichiarata, ma di cui già si sentono i rumori in lontananza. Sul mercato viene letta così la mossa di Leonardo Del Vecchio, il patron di Essilor-Luxottica, di entrare senza bussare in Mediobanca rilevando il 6,94% in una settimana o poco più.
Una mossa che rimanda a un passato (per la verità non troppo lontano) della finanza italiana fatto di patti di sindacato, partecipazioni incrociate, intrighi di palazzo e scontri di personalità. Ma è anche una guerra per la quale sono a disposizione anche le armi moderne della finanza di oggi, quella «attivista», che fa leva sui punti deboli della corporate governance. Quale sia per Del Vecchio l’obiettivo di questo nuovo risiko finanziario non è ancora chiaro, anche se gli indizi portano in due direzioni: le Assicurazioni Generali e l’Istituto oncologico europeo, i due gioielli della corona di Mediobanca. Martedì 17 settembre la holding lussemburghese di Del Vecchio, Delfin sarl, ha annunciato di essere arrivata al 6,94% di Mediobanca con acquisti sul mercato. Solo qualche ora prima ha avvisato il ceo Alberto Nagel. Obiettivo dichiarato dall’84enne imprenditore, l’uomo più ricco d’Italia con oltre 20 miliardi di patrimonio: «L’investimento rappresenta per Delfin un’ottima opportunità per la qualità, la storia e le potenzialità di crescita di Mediobanca in Italia e all’estero. Siamo un azionista di lungo periodo e daremo il nostro sostegno per accelerare la creazione di valore a vantaggio di tutti gli stakeholder».
Dal patto allo Ieo
Del Vecchio non rischia di perdere soldi: Nagel ha reso la banca sempre più solida, dai business diversificati, senza crediti deteriorati, con una redditività di oltre il 10%, e 832 milioni di utili quest’anno e un titolo in costante crescita. Il pacchetto vale 586 milioni circa e colloca Del Vecchio subito dopo Unicredit (all’8,8%) e il gruppo Bolloré (7,8%). E potrebbe crescere ancora. Del Vecchio può comprare ancora un 3%, dato che dopo il 10% serve l’ok della Bce. Ma per farne che cosa? Riannodare i fili aiuta a comprendere il quadro. Ci sono tre passaggi da considerare. Il primo è a dicembre 2018, quando venne rinnovato il patto di Mediobanca. Il ceo di Unicredit Jean Pierre Mustier — banca di cui Del Vecchio è socio con il 2% — era per la riproposizione di un legame vincolante tra i soci; prevalse però la via del mero accordo di consultazione, un patto light perché più vicino alle logiche moderne del mercato e che rendeva Mediobanca di fatto una public company. Ma un patto che non vincola i soci rende Mediobanca meno protetta come cassaforte del 13% di Generali. A difesa della compagnia si è posto però Mustier: l’investimento in Mediobanca è solo «finanziario», ha detto più volte, ma Unicredit difenderà una Generali «italiana, indipendente e quotata in Italia». Qui si inserisce il secondo passaggio: la scorsa primavera, in occasione del rinnovo del consiglio del Leone di Trieste. Pur essendo cresciuti, in tandem, Leonardo Del Vecchio al 4,86% e Francesco Gaetano Caltagirone al 5% — e anche la famiglia Benetton, al 4% — la lista per il nuovo board di Generali venne presentata dalla sola Mediobanca, senza confrontarsi con i soci per evitare rischi di accuse di concerto. Risultato? Un board praticamente identico all’uscente, nel quale siede un solo rappresentante di Delfin — Romolo Bardin —, e subito bollato da Caltagirone come «vecchio». C’è poi il terzo passaggio, la partita dello Ieo. A metà 2018 Del Vecchio, attraverso la sua omonima fondazione, aveva proposto di donare 500 milioni di euro allo Ieo per sviluppare una grande cittadella della salute. Un progetto fortemente sostenuto da Unicredit, anch’esso azionista dello Ieo. Questo avrebbe però stravolto gli equilibri dentro l’azionariato dell’istituto, di cui Mediobanca — sostenuta da Unipol — è primo socio con il 25,3% circa. Risultato: denari rifiutati, Del Vecchio che ritira il piano. Uno smacco per il patron di Luxottica.
Il prossimo calendario
La tempistica dell’azione di Del Vecchio può fornire alcuni indizi sulle mosse future. Il 28 ottobre si tiene l’assemblea di Mediobanca, Del Vecchio potrebbe approfittarne per far sentire la propria voce. Secondo alcune letture, potrebbe spingersi a chiedere di modificare lo statuto che impone che il ceo sia un manager interno con almeno tre anni di incarico dirigenziale, una norma che è il cuore dell’indipendenza di Mediobanca. Pochi giorni dopo, il 12 novembre, Nagel presenterà il nuovo piano industriale. Del Vecchio potrebbe chiedere accelerazioni. Che pensi forse anche una vendita di Generali ora che il prezzo, ai massimi da circa quattro anni, è vicino ai 18 euro, valore di carico per Mediobanca? O al varo di una società-cassaforte con dentro Generali da distribuire agli stessi soci Mediobanca (lo spin-off)? Gli analisti hanno valutato variamente queste ipotesi. Infine, a ottobre del 2020 ci sarà da rinnovare il board di Piazzetta Cuccia. La lista la presenterà il consiglio uscente ma i soci hanno comunque le mani libere. Di sicuro la partita non sarà breve. Per Del Vecchio vale molto: tra Mediobanca, Unicredit, Generali, il patron di Luxottica ha immobilizzato circa 2,4 miliardi (il calcolo è di Intermonte sim). Ma è pur sempre appena 12% dell’immenso patrimonio.
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