Le commissioni di performance restano un’area poco trasparente Le autorità europee stanno cercando di limitarle e le società di gestione vi stanno mettendo già mano. Ecco che cosa vuol dire per i risparmiatori
di Roberta Castellarin e Paola Valentini
L’arrivo della Mifid II ha rappresentato un terremoto per il mondo dell’asset management, portando una maggiore trasparenza sul vero costo dei fondi e degli altri prodotti del risparmio gestito. Tuttavia, nonostante i maggiori dati a disposizione dei risparmiatori, non sempre è facile capire davvero quanto si paga il gestore, ma soprattutto perché lo si paga. Un esempio su tutti è quello delle commissioni di incentivo/performance, ossia quei costi aggiuntivi che vengono applicati se il fondo supera un determinato obbiettivo. L’universo di queste commissioni è variegato in termini di livello della fee, ma soprattutto di condizioni in base alle quali scatta il prelievo. E non è facile districarsi, tanto più nel momento in cui la società comunica che il modello di calcolo cambia. È il caso, per esempio, dei sottoscrittori della sicav Kairos International (gruppo Kairos) che hanno ricevuto una lettera in cui si avvisava di un cambiamento nel metodo di calcolo delle commissioni di performance per alcuni comparti che sarà attivo dal prossimo primo ottobre. In particolare nella lettera si avvisa che il «metodo dell’Hwm (High water mark, ndr) venga sostituito dal metodo annuale assoluto e che il metodo dell’overperformance sia sostituito dal metodo annuale relativo». Per prima cosa è utile un chiarimento dei termini. A partire dal fatto che il principio dell’High water mark prevede che al gestore venga corrisposta una commissione percentuale di performance, solo quando eventuali perdite dell’esercizio precedente siano state compensate dagli utili dell’anno successivo. Questo metodo ora verrà sostituito da quello annuale assoluto. E nonostante il fatto che nella lettera Kairos rassicuri che «ad eccezione di pochi casi marginali il passaggio al nuovo metodo di calcolo implicherà una riduzione delle commissioni di performance», qualche perplessità a chi ha ricevuto la lettera è rimasta. Infatti una possibile interpretazione maliziosa potrebbe far pensare che il cambio di regime sia volto a fare guadagnare di più al gestore.
In particolare sorge il dubbio che il passaggio dal metodo Hwm assoluto a quello annuale assoluto sia più favorevole al gestore perché con il primo se il fondo ha fatto un massimo per esempio a 1.400 e poi scende a 1.100 non si possono prendere commissioni di performance fino a quando il fondo non torna superava il massimo (High water mark). Ora invece se il fondo fa un massimo a 1.400 e poi scende a fine anno a 1.100, ma alla fine dell’anno successivo sale a 1.250 la società di gestione può comunque prelevare commissioni di performance. Anche il passaggio dal meccanismo dell’outperformance a quello annuale relativo sembra andare nella stessa direzione, solo che in questo caso la performance fee viene prelevata se il gestore batte il benchmark, e ogni anno si riparte. Sembra che al gestore basti fare meglio ogni anno. Se un anno scende sotto al benchmark non prende commissioni di performance, ma l’anno dopo le prende anche se non ha recuperato la performance inferiore al benchmark dell’anno precedente. Contattata sul tema, Kairos invece ha spiegato che «Nel giugno 2018 l’autorità di vigilanza lussemburghese, la Cssf, ha espresso la volontà di adottare nuove regole in materia di calcolo delle performance fee facendo proprie le linee guida europee dello Iosco (International Organization of Securities Commissions, l’organizzazione internazionale cui aderiscono le autorità che regolano i mercati dei valori mobiliari di un centinaio di Paesi, costituita nel 1983 per promuovere standard rigorosi di funzionamento dei mercati, ndr). Alla luce di ciò Kairos ha presentato alla Cssf il prospetto di Kairos International Sicav e di Kairos Alpha sicav, emendati in tal senso a dicembre. L’istruttoria si è conclusa a luglio con l’entrata in vigore delle nuove condizioni dal prossimo 1 ottobre. La proposta di cambio della metodologia è unilaterale trattandosi, come espresso chiaramente nella lettera ai clienti, di cambiamento, nella quasi totalità dei casi, a loro vantaggio, con una riduzione delle commissioni di performance. Si tratta dunque di una modifica a favore dei clienti, e non del gestore Kairos».
Kairos non è l’unica società di gestione che ha rivoluzionato il suo metodo di applicazione delle fee. All’inizio dell’anno Azimut aveva annunciato una rimodulazione delle commissioni per i fondi lussemburghesi. Assieme a un incremento di circa 50 punti base (lo 0,5%) delle commissioni di gestione, il gruppo ha comunicato di aver sottoposto all’autorità di vigilanza del Granducato una nuova metodologia di calcolo delle commissioni di performance sui fondi, che sfocerà in una riduzione dei costi variabili per i clienti, in linea con quanto indicato dai principi Iosco. E per Azimut proprio il cambiamento del metodo di applicazione delle commissioni di gestione ha rappresentato un volano per utili e performance in borsa dell’azione. Infatti la rete quotata è quella che ha registrato una crescita degli utili più elevata tra le cinque quotate italiane dell’asset management nel primo trimestre 2019. Equita Sim spiegava in una nota che i conti di Azimut del primo trimestre di quest’anno hanno beneficiato del fatto che il cambiamento di regime commissionale ha avuto tempi non sincroni. L’aumento delle commissioni di gestione è avvenuto a febbraio, mentre la modifica delle commissioni di performance non è scattata contestualmente in attesa del via libera da parte del Lussemburgo alla nuova metodologia di calcolo che era stata presentata all’authority di vigilanza lo scorso gennaio.
Più precisamente il nuovo metodo sottoposto si baserà su un calcolo annuale a benchmark più uno spread collegato alle diverse categorie di prodotto, e, al contempo, contemplerà un incremento di circa 50 punti base delle commissioni fisse. Azimut evidenzia che il Ter (Total expence ratio, ovvero l’indicatore che sintetizza i costi totali) per i clienti sarà mantenuto allo stesso livello di quello applicato dai concorrenti e dagli altri operatori di mercato, anche dopo queste modifiche. «Come abbiamo già fatto in Italia nel 2005, e come hanno già fatto recentemente solo alcuni dei nostri concorrenti, ci allineiamo alle best practice indicate dalle linee guida Iosco sul tema delle performance fee, mantenendo un Ter sostanzialmente inalterato e in linea con i valori dell’industria», aveva spiegato il presidente Pietro Giuliani al momento della comunicazione al mercato della nuova politica di costi.
Anche Banca Mediolanum ha rivisto la struttura delle commissioni per adeguarsi alle raccomandazioni Iosco e anche a quelle in arrivo dall’Esma. Le novità scattate dal 2 gennaio scorso, rientrano nell’attività di revisione dell’offerta prodotti che il gruppo guidato dall’ad Massimo Doris periodicamente realizza. In pratica gli interventi, concordati con la banca centrale d’Irlanda, riguardano i fondi Mediolanum Best Brands e Challenge Funds della controllata irlandese Mediolanum International Funds. Per le commissioni di incentivo il calcolo annuale ha preso il posto di quello mensile, introducendo il metodo High water mark assoluto calcolato sulla quota al netto delle altre commissioni. È stato previsto anche un hurdle rate, ovvero un tasso minimo di rendimento al di sopra del quale scatta il prelievo: per l’obbligazionario è dell’1% e per l’azionario del 5%. Il cambiamento del meccanismo di conteggio comporta per la banca una riduzione delle commissioni di performance di oltre lo 0,6% medio annuo, secondo i calcoli fatti dal gruppo. Mediolanum spiega che originariamente il prelievo era stato fissato con cadenza mensile perché più coerente con il fatto che i fondi sono prodotti liquidi nei quali il risparmiatore è in grado di entrare o uscire in ogni momento e peraltro la metodologia dell’high water mark può determinare commissioni maggiori nel caso di mercati in rialzo.
Nel contempo Mediolanum ha introdotto, sempre da inizio 2019, un parziale aumento dei costi ricorrenti che a seconda dei casi va dallo 0,25% allo 0,65% e che in ogni caso non va a compensare il calo conseguente alle nuove commissioni di incentivo. Questi interventi fanno parte di un’operazione complessiva che ha riguardato anche la rimodulazione dell’offerta con la razionalizzazione dei prodotti non efficienti e la ristrutturazione dei fondi di fondi nei quali si è cercato di limitare i costi dei comparti sottostanti, andando a rinegoziarli con le singole case di gestione e inserendo anche una quota di titoli.
Il gruppo spiega che l’effetto complessivo di queste manovre genera una riduzione media annua del costo dei suoi fondi nell’ordine dello 0,5% in un orizzonte temporale di 10 anni. In conclusione la volontà aziendale e l’effetto complessivo del repricing e delle manovre sopra descritte, sottolinea Banca Mediolanum , è far beneficiare di un risparmio di costo il sottoscrittore finale. (riproduzione riservata)
Quante resistenze sui rendiconti della Mifid II
di Roberto Lenzi* A ridosso di agosto alcuni intermediari finanziari hanno trasmesso alla clientela i primi rendiconti Mifid II ex post riguardanti i costi sostenuti e i risultati ottenuti nel 2018. Prima di tale momento solo due soggetti vigilati avevano adempiuto tale obbligo, diventato obbligatorio in funzione della normativa di riferimento ma la cui tempistica aveva subito un notevole slittamento in virtù del fatto che l’Esma (ottobre 2017) era intervenuta sul tema, indicando che, alla scadenza della prima annualità del rapporto, l’informativa doveva essere inviata dagli intermediari il prima possibile. Locuzione che ha consentito, di fatto, di procrastinare di molti mesi l’invio della rendicontazione, in conformità a motivazioni addotte dagli intermediari in termini di rapporti con le case prodotto, sistemi operativi ecc. Per la verità, tutte legittime (ancorché espresse a distanza di molto tempo dall’avvio della normativa), ma che, in realtà, occultavano, anche e soprattutto, la necessità di organizzarsi per presentare alla clientela, con tempi e metodi da definire, rendiconti che hanno fatto registrare nella quasi generalità dei
casi ingenti minusvalenze nei portafogli. Per la rendicontazione ex post nelle gestioni patrimoniali (ma anche nel servizio di consulenza), la normativa di riferimento ha previsto concetti molto semplici, imponendo una rappresentazione dei costi in maniera «chiara, semplice e comprensibile» evidenziando in modo «aggregato» le principali voci degli stessi, quali: oneri di negoziazione, di gestione/amministrazione, di performance, compensi a controparti terze e società prodotto, indicazione in valore assoluto e in valore percentuale di tali costi sul rendimento della gestione. Tuttavia le norme di legge hanno lasciato ampio margine di discrezionalità agli intermediari su come strutturare la rendicontazione in forma aggregata, tanto che la stessa non è omogenea da soggetto a soggetto (pur comprendendo gli elementi fondamentali richiesti), con consequenziale difficoltà (ex post) per il cliente di più intermediari ad effettuare comparazioni semplici. Si possono citare, in questo senso, a titolo di esempio, i casi in cui il rendiconto 2018 è indicato insieme ai rendiconti del secondo trimestre 2019 (tale da potere facilitare il rapporto con la clientela circa eventuali parziali o totali recuperi delle minusvalenze), il tutto magari accompagnato da un cospicuo plico di pagine (fino a 40 in molti casi) che certo non consentono una agevole lettura. Il tutto, peraltro, inviato sia tramite posta cartacea sia a mezzo mail (quanti clienti aprono puntualmente le mail?) in un periodo estivo con la maggior parte della clientela quindi assai più distratta. Gli investitori leggeranno la documentazione trasmessa e analizzeranno i rendiconti? Difficile dirlo, tante sono le differenze culturali e comportamentali nella clientela. Per coloro che saranno più attenti nell’esaminare le proprie posizioni, si desidera ricordare che avranno (per legge) sempre e comunque il diritto di richiedere una rappresentazione «analitica» di ogni singola voce di costo (ad esempio: quanto ho pagato a ogni singola controparte, quanto incide il costo della distribuzione?), nei confronti della quale gli intermediari non potranno opporsi. Poi ciascuno (cliente o meno) avrà forse modo di farsi un’idea precisa se questa dinamica è frutto di casualità, oppure effetto di una strategia abilmente pianificata, dove solo gli operatori più trasparenti e corretti (ex ante) non avranno nulla da temere. (riproduzione riservata) *avvocato patrimonialista, studio legale Lenzi e Associati
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