di Guido Stazi
La conferma di Margrethe Vestager come commissario alla concorrenza, con l’incarico di coordinare le questioni digitali in qualità di vicepresidente, segnala il grandissimo rilievo che la nuova Commissione assegna all’economia dei dati. Potrebbe essere quindi giunto il momento di affrontare alcuni temi fondanti, non risolti, che sono alla base delle distorsioni evidenti nel settore chiave dell’economia contemporanea. Si parla tanto della necessità di ridurre le disuguaglianze e di affrontare i divari sociali che si vanno amplificando nell’era digitale. Non c’è però ancora consapevolezza del fatto che proprio la quarta rivoluzione industriale, quella a portata di click, ha consegnato a tutti quanti un portafoglio virtuale: sono i dati personali, che per ora alimentano solo i big data e lo strapotere delle grandi piattaforme digitali, finito nel mirino di molte autorità antitrust.
I nostri dati, le nostre identità, i nostri profili, le nostre scelte di consumo hanno un grande valore, non solo per noi; riappropriandoci delle nostre tracce digitali potremmo ridurre questo gap. I dati costituiscono la materia prima dell’economia digitale, ma anche il suo ricchissimo prodotto; sono input e output di un’economia che si autoalimenta in modo circolare. Al centro l’individuo e le sue scelte digitali, attore principale e vittima predestinata di un processo tanto più grande di lui; impossibilitato per ora a far valere la proprietà dei suoi dati e indotto ad autorizzare gratis le piattaforme digitali a utilizzarli ai fini più disparati. Da questo modello di business, basato sull’acquisizione gratuita della materia prima,i dati, le grandi piattaforme digitali hanno ricavato enormi ricchezze, senza che nulla arrivi al portafoglio digitale dei fornitori di dati, cioè gli utenti e i consumatori. Occorre definire un diritto di proprietà sui dati in capo al titolare, l’individuo. Ciò costituirebbe la premessa per un mercato più trasparente ed equo di quello che si è generato finora e sancirebbe l’attivazione del portafoglio digitale di tutti noi. È curioso come la quarta rivoluzione industriale, la big data economics, sia partita senza attribuire ai titolari dei dati la loro proprietà. Riconoscendo invece, soprattutto in Europa, un diritto alla privacy pomposo ma complicato da maneggiare e difficile da valorizzare per il titolare, in quanto il dato personale, considerato un diritto della persona, non potrebbe essere venduto; ma le autorizzazioni, da noi concesse con riflesso pavloviano, consentono gratis l’acquisizione dei nostri dati da parte della piattaforma, che può cederli a pagamento a centinaia di terze parti interessate a lavorare il dato. Basta avere la pazienza di leggere le informative estese sui cookie (se si resiste alla pulsione immediata ad autorizzare per poter continuare la navigazione) per contare fino a 500 imprese, terze parti, cui può essere ceduto il nostro dato ai fini commerciali. La dispersione dei dati personali in mercati secondari comporta da un lato la perdita di controllo da parte dell’utente delle informazioni rilasciate, dall’altro una valorizzazione esponenziale del dato di cui il titolare non beneficia minimamente, con una distribuzione del valore economico generato solo a favore delle imprese. Realizzare un mercato dei dati trasparente ed equo sarà possibile con una chiara assegnazione del diritto di proprietà del dato al suo legittimo titolare, l’utente, conferendogli il diritto di negoziare i contratti relativi ai dati da lui origina ti. Ponendo così l’individuo al centro della rivoluzione digitale. Il meccanismo di autorizzazione all’uso dei nostri dati personali ha di fatto assegnato finora alle piattaforme la facoltà di decidere se e con chi condividere i dati in loro possesso; il nuovo Regolamento europeo sulla protezione dei dati (Gdpr), all’art. 20 prevede il diritto alla portabilità dei dati personali, cioè a chiederli e riceverli da chi li detiene e a trasferirli a chi vogliamo. Siamo ancora lontani da una assegnazione della titolarità effettiva del dato, ma se ben attuata la portabilità potrebbe rappresentare un buon punto di partenza per un nuovo assetto. L’infrastruttura tecnologica (data platform, blockchain, private cloud, app o altro) più adatta alla gestione e al trasferimento dei dati e alla conseguente distribuzione più equa della sua progressiva valorizzazione economica, già esiste ed è disponibile. Come la nascita, segnalata da alcune start-up, di soggetti professionali delegati a intermediare e aggregare molti utenti e a trattare portabilità e ricollocazione dei dati con un potere contrattuale maggiore nei confronti di piattaforme digitali e utilizzatori. In prospettiva però solo un mercato digitale basato su una esplicita attribuzione dei diritti di proprietà sui dati potrà determinare una redistribuzione delle enormi ricchezze prodotte dai big data a favore della generalità degli individui e dei loro portafogli digitali. Sarebbero poste le condizioni per la limitazione del potere di mercato delle imprese Big Tech tramite lo sviluppo di più accentuate dinamiche concorrenziali: piena portabilità, condivisione dei dati e interoperabilità delle piattaforme, strumenti decisivi per mantenere un ambiente competitivo nell’economia digitale, ne costituirebbero la naturale conseguenza. (riproduzione riservata)
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