L’assicurato contro i rischi della responsabilità civile ha diritto di essere tenuto indenne dal proprio assicuratore delle spese processuali che è stato costretto a rifondere al terzo danneggiato, entro i limiti del massimale; nonché delle spese sostenute per resistere alla pretesa di quegli, anche in eccedenza rispetto al massimale, purché entro il limite stabilito dall’art. 1917, comma terzo, c.c.
L’assicurato contro i rischi della responsabilità civile, ove commetta un fatto illecito dal quale scaturisca una lite giudiziaria, può andare incontro a tre diversi tipi di spese processuali:
1) le spese di soccombenza, cioè quelle che egli è tenuto a rifondere alla parte avversa vittoriosa, in conseguenza della condanna alle spese posta a suo carico dal giudice;
2) le spese di resistenza, cioè quelle sostenute per remunerare il proprio difensore ed eventualmente i propri consulenti, allo scopo di resistere alla pretesa attorea;
3) le spese di chiamata in causa, cioè quelle sostenute per convenire in giudizio il proprio assicuratore, chiedendogli di essere tenuto in caso di accoglimento della pretesa del terzo danneggiato.
Le spese di soccombenza non costituiscono che una delle tante conseguenze possibili del fatto illecito commesso dall’assicurato, e perciò l’assicurato ha diritto di ripeterle dall’assicuratore, nei limiti del massimale.
Le spese di resistenza non costituiscono propriamente una conseguenza del fatto illecito, ma rientrano nelle spese di salvataggio (art. 1914 c.c.), in quanto sostenute per un interesse comune all’assicurato e all’assicuratore.
Tali spese perciò possono anche eccedere il limite del massimale, nella proporzione stabilita dall’art. 1917, comma terzo, c.c.
Le spese di chiamata in causa dell’assicuratore, infine, non costituiscono né conseguenze del rischio assicurato, né spese di salvataggio, ma comuni spese processuali, soggette alla disciplina degli artt. 91 e 92 c.p.c.
Cassazione civile sez. III, 04/05/2018 n. 10595