La V direttiva europea (2018/843) si pone come uno dei primi obiettivi quello di far chiarezza sull’utilizzo delle criptovalute per scongiurare che attraverso il web e le monete virtuali possano determinarsi operazioni di riciclaggio e finanziamento al terrorismo. L’Italia si è mossa in anticipo prevedendo per alcuni operatori in moneta virtuale specifici obblighi con il dlgs n. 90/2017 di recepimento della IV direttiva.
Il problema dell’anonimato. Tutte le transazioni in criptovalute, pur tracciate sulla Blockchain, non possono essere nei fatti (salvo utilizzo di complessissime procedure), associate ai soggetti, persone fisiche, che si sono scambiati criptovalute, dei quali emergono soltanto delle stringhe alfanumeriche. Tale anonimato è addirittura assoluto per coloro che si approvvigionano di criptovalute attraverso opere di mining e non di exchanger.

Gli unici snodi nei quali si può intercettare l’identità relativa a chi si cela dietro una operazione in criptovalute sono i punti di ingresso e di uscita dal circuito, cioè nell’ambito del processo di conversione della criprovaluta in valuta a corso legale e viceversa. Solo inserendo gli exchanger (cambiavalute) e i wallet provider (fornitori di portafogli-servizi di custodia delle credenziali necessarie ad accedere e conservare valute virtuali) fra i soggetti destinatari degli obblighi antiriciclaggio si possono intercettare operazioni sospette in criptovalute.

La V direttiva. Già nei considerando n. 8/10 della V direttiva l’interesse per le operazioni in criptovalute appare rilevantissimo. Vi si legge come risulti: «di fondamentale importanza ampliare l’ambito di applicazione della direttiva Ue 2015/849 in modo da includere (fra i destinatari gli obblighi antiriciclaggio, ndr) i prestatori di servizi la cui attività consiste nella fornitura di servizi di cambio tra valute virtuali e valute legali e i prestatori di servizi di portafoglio digitale. Ai fini dell’antiriciclaggio e del contrasto del finanziamento del terrorismo (AML/CFT), le autorità competenti dovrebbero essere in grado di monitorare, attraverso i soggetti obbligati, l’uso delle valute virtuali. Tale monitoraggio consentirebbe un approccio equilibrato e proporzionale, salvaguardando i progressi tecnici e l’elevato livello di trasparenza raggiunto in materia di finanziamenti alternativi e imprenditorialità sociale» e ancora: «L’anonimato delle valute virtuali ne consente il potenziale uso improprio per scopi criminali. L’inclusione dei prestatori di servizi la cui attività consiste nella fornitura di servizi di cambio tra valute virtuali e valute reali e dei prestatori di servizi di portafoglio digitale non risolve completamente il problema dell’anonimato delle operazioni in valuta virtuale: infatti, poiché gli utenti possono effettuare operazioni anche senza ricorrere a tali prestatori, gran parte dell’ambiente delle valute virtuali rimarrà caratterizzato dall’anonimato. Per contrastare i rischi legati all’anonimato, le unità nazionali di informazione finanziaria (FIU) dovrebbero poter ottenere informazioni che consentano loro di associare gli indirizzi della valuta virtuale all’identità del proprietario di tale valuta». Infine, si prevede che l’obiettivo della direttiva è analizzare l’utilizzo della moneta virtuale non solo come mezzo di pagamento, ma anche come mezzo di scambio, di investimento, come prodotto di riserva di valore o quando è impiegato in casinò online.

Il novellato art. 2 della direttiva introduce fra i soggetti obbligati ad assolvere gli obblighi antiriciclaggio: a) prestatori di servizi la cui attività consiste nella fornitura di servizi di cambio tra valute virtuali e valute aventi corso forzoso; h) prestatori di servizi di portafoglio digitale, cioè che offrono servizi di custodia delle credenziali necessarie per accedere alle valute virtuali.

Così le autorità competenti avranno la possibilità di monitorare, attraverso i soggetti obbligati, anche l’uso (o meglio l’abuso) delle valute virtuali.

Il dlgs 231/07. Nell’art. 3 del novellato dlgs 231/07, già nel 2017 attraverso il dlgs 90 di recepimento della direttiva 2015/849 (IV direttiva) si prevedeva che fra i soggetti obbligati al rispetto delle disposizioni antiriciclaggio rientrassero «i soggetti che esercitano professionalmente l’attività di cambio valuta, consistente nella negoziazione a pronti di mezzi di pagamento in valuta, iscritti in un apposito registro tenuto dall’OAM (art. 128-undecies Tub)». Inoltre nell’art. 8 del dlgs n. 90/2017 sono state introdotte modifiche in tema di prestatori di servizi relativi all’utilizzo di valuta virtuale (sono inclusi in questa definizione, oltre agli «exchanger», anche i fornitori di servizi funzionali all’utilizzo, allo scambio e alla conservazione di valute virtuali), emendando il dlgs 141/2010 (art. 17-bis).

Questi soggetti che ricomprendono anche i wallet provider vengono ora fatti rientrare (forse con disomogeneità) nell’ambito di applicazione delle norme in materia di attività di cambiavalute. Si stabilisce, in particolare, la loro iscrizione in una sezione speciale del registro tenuto dall’Oam, ai sensi del comma 8-ter, del novellato art. 17-bis, e un obbligo di comunicazione dell’operatività nei confronti del Mef, la cui individuazione delle relative tempistiche e modalità avverrà con apposito decreto.

Censimento sugli operatori. Chiunque operi con monete virtuali, anche nella mera veste di operatore commerciale che accetti criptovalute quale corrispettivo di qualsivoglia prestazione avente ad oggetto beni, servizi o altre utilità dovrà comunicarlo al Mef. È quanto prevede l’atteso decreto ministeriale in merito alle modalità e alla tempistica con cui i prestatori di servizi relativi all’utilizzo di valuta virtuale dovranno comunicare al ministero, consentendo allo stesso di acquisire informazioni in ordine alla dimensione e alla operatività del mercato relativo all’utilizzo della moneta virtuale, ai fini della costituzione di un apposito registro di operatori.

Soggetti coinvolti. I soggetti coinvolti sono i prestatori di servizi relativi all’utilizzo di valuta virtuale (art. 1, comma 2, lett. gg, dlgs 231/07), cioè ogni persona fisica o giuridica che fornisce a terzi, a titolo professionale, servizi funzionali all’utilizzo, allo scambio, alla conservazione di valuta virtuale e alla loro conversione da, ovvero in valute aventi corso legale. Fra essi, quindi, oltre ai cambiavalute (exchanger) rientreranno anche prestatori di servizi di portafoglio digitale (wallet provider). Ma il legislatore, sollevando più di qualche perplessità, è andato oltre prevedendo che alla comunicazione siano tenuti anche tutti quegli operatori commerciali che accettano valuta virtuale quale corrispettivo di qualsiasi prestazione avente ad oggetto beni, servizi o altre utilità (quindi ristoranti, hotel, negozi fisici, operatori di vendite on line ecc).

La trasmissione. I soggetti obbligati trasmettono, con Pec al Mef, un apposito formulario (contenuto nel decreto), compilato e sottoscritto con firma elettronica qualificata o digitale indicando di svolgere attività di prestatore di servizi relativi all’utilizzo di moneta virtuale o il proprio interesse all’avvio di detta attività. Alla comunicazione è allegata copia del documento di identificazione del firmatario.

L’Oam (Organismo degli agenti e mediatori creditizi) avvia la gestione della sezione speciale del Registro dei prestatori di servizi relativi all’utilizzo di moneta virtuale entro un periodo prestabilito a partire dal termine concesso agli operatori per le prescritte comunicazioni.

Il ministero dell’economia e delle finanze inoltra tempestivamente i dati e le informazioni inerenti i prestatori di servizi relativi all’utilizzo di valuta virtuale alla Guardia di finanza e alla polizia postale.

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