Dopo la scomparsa di Marchionne, Elkann ora dovrà guidare in prima persona la galassia della famiglia torinese. A cominciare dalla partita sul futuro di Fca e dal nodo PartnerRe
di Luciano Mondellini

All’età di 42 anni John Elkann ha davanti a sé la sfida più importante della sua già significativa carriera: quella di guidare l’impero industriale di casa Agnelli non più soltanto in qualità di proprietario (la sua società semplice, la Dicembre, controlla infatti la cassaforte di famiglia Giovanni Agnelli Bv è quindi a cascata Exor e le sue controllate) ma anche come leader operativo.

Sin dal suo ingresso nel top management di famiglia (datato 1997 se si considera l’entrata nel cda di Fiat e 2004 se invece si intende la nomina a vicepresidente del Lingotto) Elkann ha sempre avuto punti di riferimento di prim’ordine a sostegno della sua attività imprenditoriale. Senza scomodare il nonno Gianni Agnelli che lo indicò come futuro capo azienda sin da quando era ragazzino, il futuro capofamiglia si è potuto appoggiare nei suoi primi anni da manager sui preziosi consigli di Gianluigi Gabetti , uomo della vecchia guardia dell’Avvocato, che nelle prime occasioni pubbliche rassicurava Elkann ogni qualvolta proferisse parola. Poi è stata la volta di Gerardo Braggiotti (in virtù anche dell’investimento di Exor in Banca Leonardo , oltre che di una sintonia personale tra i due) e di Luca Cordero di Montezemolo, seppur con una relazione contraddistinta da non poche conflittualità. Ma soprattutto Elkann aveva trovato in Sergio Marchionne il suo principale sostegno lavorativo. Molto si è detto del rapporto tra i due ma è indubbio che Marchionne ha ricevuto dal giovane proprietario una libertà manageriale difficilmente riscontrabile in altri contesti. Elkann in cambio ha visto crescere il valore delle proprie aziende e ha rafforzato il primato personale all’interno della famiglia. Un episodio chiarisce molto di questa vicenda: il capolavoro del manager arrivato dal Canada -ovvero la conquista di Chrylser nel 2009- permise a inizio 2011 lo scorporo delle attività industriali da quelle delle auto (che ora avevano stazza sufficiente per stare da sole sul mercato). E per Elkann, che era diventato presidente di Fiat nel 2010, quella fu anche l’occasione per garantire al resto della famiglia dividendi sicuri rafforzando così la sua posizione di capo dinastia. Fiat Industrial, operante in segmento B2B, sarebbe stata la macchina da cedole per tutta la casata, mentre Fiat auto, attiva in un segmento ciclico, avrebbe potuto esentarsi da distribuire gli utili senza che il presidente fosse criticato dai propri consanguinei. Marchionne inoltre fu anche cruciale nella conquista di PartnerRe da parte di Exor nel 2015. Se l’idea di comprare la compagnia di riassicurazione fu di Elkann, il contributo di Marchionne fu decisivo per il successo quando l’operazione si incagliò in una battaglia finanziaria a colpi di rilanci tra Exor e Axis Capital. Il ticket tra i due, al di là di qualche normale screzio, funzionava soprattutto per la sua complementarità.

Ora invece, con la scomparsa del manager italo-canadese, sarà Elkann a dover affrontare in prima persona il vento e le tempeste del mercato. In questo quadro la partita più complicata si chiama Fca . Venerdì 7 l’assemblea straordinaria ha nominato Mike Manley nuovo ceo del Lingotto ed Elkann ha spiegato che entro fine mese il nuovo ad presenterà la sua squadra di manager. Il punto interrogativo più importante riguarda il responsabile dell’area Emea (Europa, Medio Oriente e Africa) dopo che Alfredo Altavilla, sconfitto da Manley nella corsa alla successione di Marchionne, ha rassegnato le dimissioni a luglio. Il grande favorito è il ceo di Magneti Marelli, Pietro Gorlier, perché appare sempre più probabile che la controllata operante nel lighting possa essere ceduta ai fondi (Kkr è in pole position) più che proseguire nel suo percorso di scorporo e quotazione come originariamente previsto. MF-Milano Finanza infatti è in grado di rivelare che chi ha tentato di imbastire una cordata italiana per tenere nel Paese Magneti Marelli si è sentito rispondere da più parti non solo che il prezzo offerto da Kkr è molto alto (tra 4 e 5 miliardi), ma anche che nomi di punta del middle management di Marelli sono stati richiamati in Fca dal top management dell’azienda. Segno che ai piani alti della casa italo-statunitense l’ipotesi di cessione della controllata è sempre più concreta. Ovviamente però la partita principale che attende Elkann nel medio termine è quella delle alleanze. Il compito di Manley in questo senso sarà quello di proseguire nel solco indicato da Marchionne il primo giugno con il nuovo piano industriale. Con l’obiettivo di massimizzare il valore del Lingotto e poter permettere ad Elkann di sedersi al tavolo delle trattative con maggiore forza contrattuale. I sospetti per un aggregazioni sono sempre gli stessi: i coreani di Hyundai, con cui ci sarebbero poche sovrapposizioni geografiche; Volkswagen sempre interessata alla rete di Fca negli Usa e ad alcuni brand del Lingotto; oppure qualche casa cinese (anche se ci sarebbe da superare l’ostilità dell’amministrazione Trump su questo fronte). Infine c’è anche chi ha ipotizzato la suggestione spezzatino, ovvero una cessione ad acquirenti diversi dei brand europei rispetto a quelli americani. Di sicuro c’è però questa partita, con Marchionne ancora in vita, Elkann se la sarebbe giocata con il forte sostegno del manager dal maglione nero. Ora invece il peso dell’operazione graverà soltanto sulle sue spalle.

Sullo sfondo poi c’è un altro nodo da risolvere, ovvero quello relativo a PartnerRe. Secondo gli esperti del comparto la compagnia di riassicurazione ha bisogno di masse critiche per poter crescere e competere con i big mondiali (le tedesche MunichRe e HannoverRe, l’elvetica SwissRe e la francese Scor). In questo quadro c’è da segnalare che Exor ha il vantaggio di detenere il 100% di PartnerRe e quindi di poter avviare anche delle aggregazioni mantenendo quote rilevanti nella nuova realtà. Intanto però Elkann ha lasciato la presidenza della controllata a Brian Dowd e la compagnia di riassicurazione ha zavorrato i conti semestrali di Exor con un contributo negativo per la holding di 206 milioni. Piccoli segnali? (riproduzione riservata)

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