di Angelo di Mattia
Chi sperava in una sostanziale riforma delle authority europee in materia di credito e risparmio e nel collegamento tra questa revisione e un’auspicabile rivisitazione, per quel che riguarda l’Italia, delle corrispondenti autorità nazionali dopo annunci e promesse, non potrà non rimanere deluso dopo i ritocchi – perché tali soltanto sono – che la Commissione Ue, secondo la proposta del vicepresidente Valdis Dombrovskis, ha deciso di apportare alle attribuzioni dell’Esma (l’authority per il controllo dei mercati), limitandosi per di più esclusivamente a questi emendamenti. Con l’intento di rafforzarsi nel negoziato con Londra sulla Brexit, la Commissione propone di estendere i poteri dell’Esma nei confronti di soggetti che non risiedano nell’Unione (in tema di autorizzazioni e di sanzioni), in tal modo ritenendo che così, profilando una condizione di rigore per gli intermediari britannici quando l’uscita dall’Ue sarà stata completata, si doti di un maggiore potere contrattuale che la agevolerà nel negoziato. Ma il fine ravvicinato ha fatto perdere di vista la revisione dell’architettura dei controlli, che avrebbe dovuto e potuto contemplare, per esempio, la soppressione dell’Eba (che oggi vigila sulle banche) per la sua sovrapposizione alla Vigilanza accentrata di Francoforte e per la dimostrata totale inadeguatezza del suo operare. O, comunque, secondo quanto le stesse istituzioni di Bruxelles avevano anticipato, si sarebbe dovuto arrivare a un’articolazione dei controlli per finalità: da un lato la trasparenza, attribuita all’Esma, dall’altro la stabilità, conferita a un soggetto derivante dall’aggregazione tra l’Eba e l’Eiopa (che controlla le assicurazioni).
D’altro canto, escludere, almeno per ora, dalla sia pur minimale riconsiderazione l’Eba non ha senso, una volta che Londra si appresta a uscire dall’Unione: il potenziale doppione rispetto alla Vigilanza della Bce diventa ancora più evidente e consolida l’opzione della soppressione. Non possono essere comunque le esigenze di una strategia negoziale a condurre a un intervento che, invece, avrebbe dovuto essere ben diverso sul piano dell’organicità, del disegno a cui si obbedisce, della globalità di una visione concernente pure le corrispondenti autorità dei singoli Paesi. Se questa scelta di Bruxelles farà strada, bisognerà mettere in conto che per i due anni del negoziato con il governo britannico non vi saranno in questo campo serie misure riformatrici. Se si pensava quindi di procedere a una riforma in Italia correlandola a quella auspicata in sede europea, bisogna rinunciarvi. Allora sarebbe doveroso agire autonomamente e attuare una riarticolazione delle authority italiane, almeno di quelle con competenza in materia di credito e risparmio, per finalità e definendo in maniera unitaria lo status di autonomia e indipendenza, nonché i rapporti con Parlamento e governo. Una revisione organica è inutilmente attesa dal 2007, ma l’argomento era all’ordine del giorno diversi anni prima. La Banca d’Italia non è un’authority, bensì una banca centrale con funzioni anche di authority per quel che riguarda la Vigilanza bancaria e finanziaria su intermediari, mercati e sistema dei pagamenti. In una rivisitazione la tutela della stabilità, da rafforzare, dovrebbe essere integralmente di competenza di Via Nazionale, mentre quella della trasparenza e correttezza di spettanza della Consob e la concorrenza propria dell’Antitrust.
Andrebbero operati accorpamenti; per esempio quello della Covip (la Vigilanza sui fondi di previdenza). In ogni caso il tema della riforma a questo punto non è più rinviabile, anche se siamo allo scorcio della legislatura ed è ipotizzabile che un lavoro al riguardo potrà essere solo avviato; ma comunque è importante dare il segnale che non si attendono le calende greche di Bruxelles per intervenire in un settore bisognoso di riforma per una miglior tutela del risparmio, per rafforzare le regole del mercato, la correttezza, la trasparenza delle transazioni e la concorrenza. Sono questi gli argomenti che i policy maker dovrebbero affrontare piuttosto che tentare di interferire nella nomina alla carica apicale della Banca d’Italia, anche perché il governatore Ignazio Visco è pienamente riconfermabile, come ora finalmente viene diffusamente riconosciuto pure per la caduta di veti che erano stati assurdamente posti dal vertice del Pd. Se questo argomento si sdrammatizza e si libera da strumentalizzazioni e dall’intento di un improprio utilizzo della commissione parlamentare di inchiesta sulle banche, ne guadagnano tutti, a cominciare dalle istituzioni e dal sistema bancario, e meglio ci si potrà concentrare sulle riforme degli ordinamenti. (riproduzione riservata)
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