Il 28% dei risk manager delle più importanti aziende italiane afferma che all’interno della propria azienda non tutti si sentono a proprio agio con le donne in posizioni manageriali e il 38% riconosce l’esistenza di una disparità di trattamento ai fini della carriera professionale tra uomini e donne con figli. Dati che contrastano con la diffusa consapevolezza che la Gender Diversity sia un valore aggiunto per le aziende e che le attitudini tipicamente femminili come la capacità di gestire le difficoltà, la capacità di ascolto e organizzazione siano le soft skill di un Risk Manager di successo.
Questo è quanto rivela la recente ricerca di Anra sulla Gender Diversity nella gestione delle attività tipiche del risk manager: nel corso degli ultimi dieci anni ha acquisito una crescente importanza la capacità delle aziende di consentire ai propri dipendenti di accedere alle posizioni dirigenziali, prescindendo dalle condizioni di genere e basando il processo di crescita professionale sui soli presupposti meritocratici. Un principio che, seppur condiviso in senso assoluto e teorico dal mondo professionale, richiede tuttora una riflessione in quanto la composizione delle strutture gerarchiche delle aziende italiane evidenzia la difficoltà della sua applicazione pratica.
“ANRA è da sempre convinta del valore aggiunto che deriva dalla diversità, non solo di genere ma anche culturale e religiosa” commenta Alessandro De Felice, Presidente di ANRA e Chief Risk Officer in Prysmian Group. “Il nostro obiettivo è di individuare i casi di successo e trasferire conoscenze e competenze già consolidate in passato affinché ogni singola azienda possa interrogarsi sul tema della gestione della Gender Diversity, alla luce dell’evidenza che nella maggior parte dei casi ancora oggi la posizione dirigenziale è concepita come tipicamente maschile, mentre il Back-Office rimane femminile. Se da una parte il settore assicurativo ha fortemente beneficiato dell’impatto delle nuove tecnologie, è anche vero che tuttora soffre di una certa arretratezza nei processi di sottoscrizione del rischio e di gestione delle polizze: sia a livello manageriale che tra i broker l’assicuratore è ancora una figura occupata prevalentemente da uomini”.
Dal campione di intervistati, composto per il 63% da rispondenti di sesso maschile con età superiore ai 45 anni e per il 37% da rispondenti di sesso femminile, emerge che il 70% della popolazione femminile si distribuisce su un inquadramento contrattuale medio-basso (impiegato 38%, quadro 32%), mentre il 51% della popolazione maschile si posiziona principalmente su livelli dirigenziali (24%) e di libero professionista (27%). Il 14% dei partecipanti riconosce l’esistenza di pregiudizi di genere all’interno del proprio team di Risk Management, ma la percentuale raddoppia al 28% considerando l’azienda nel suo complesso. Il 72% dichiara che all’interno del proprio team di Risk Management tutti sono a proprio agio con le donne in posizioni manageriali, mentre in azienda il dato si riduce al 62% circa. Si afferma, inoltre, l’esistenza di una disparità di trattamento ai fini della carriera professionale tra uomini e donne con figli che va dal 30% all’interno del team di risk management al 38% nel contesto aziendale.
Un dato altrettanto interessante che riguarda la valutazione del percorso di carriera tuttora attribuita al monte ore di presenza a lavoro piuttosto che agli obiettivi raggiunti (superiore al 30%), evidenzia una modalità di gestione dell’attività lavorativa non prettamente connessa a fattori di merito, che per di più non sposa la flessibilità necessaria per bilanciare la vita familiare e quella professionale. Tale dato è principalmente evidenziato dalle donne (+50%) e contemporaneamente smentito dagli uomini.
La popolazione maschile tende a distribuire in maniera uniforme tra uomini e donne anche l’attribuzione delle attitudini personali, seppure nel complesso quelle che rientrano in una sfera emotivo-cognitiva e organizzativa orientata alla gestione dell’attività lavorativa vengono riconosciute prevalentemente al genere femminile, a differenza di quelle che richiedono un approccio più istintivo e pragmatico nel processo decisionale, considerate come maggiormente maschili. Le soft skill tipiche di un Risk Manager di successo vengono individuate dal 56% degli intervistati nella capacità di gestire le complessità, dal 44% nella capacità di ascolto e dal 37% nella capacità di organizzazione, attitudini a carattere prettamente femminile.
L’indagine conferma il pensiero comune dei soci ANRA secondo cui la diversità, intesa come presenza congiunta di donne e uomini in un team di Risk Management, sia un valore per l’azienda favorendo da un lato il confronto professionale su aspetti diversi con cappelli diversi (73%) per una migliore focalizzazione al raggiungimento dei risultati (38%), dall’altro la coesione del team (41%), valorizzando il contributo di ciascun membro (61%).
Come dichiara Claudia Costa, Vicepresidente di ANRA, Corporate Insurance Manager e Senior Legal Counsel del Gruppo De’Longhi, “ANRA ha modificato di recente il proprio Statuto circa la composizione Consiglio Direttivo, che per almeno un terzo deve oggi essere costituito dal genere meno rappresentato. Ma il processo di cambiamento è ancora all’inizio ed è necessario agire in prima istanza nei confronti delle aziende, incoraggiando politiche in grado di incidere – a prescindere dal genere – sul bilanciamento tra lavoro e tempo libero, ad esempio non premiando la permanenza in ufficio oltre l’orario concordato, una pratica che penalizza più comunemente le donne, che si ritrovano a fronteggiare le esigenze degli altri membri del nucleo famigliare. In secondo luogo è urgente un cambiamento a più ampio respiro nell’inquadramento culturale della donna che, da quanto emerge nel questionario sulle attitudini di genere, è portata a ritenersi svantaggiata fin dal principio nella corsa al raggiungimento di posizioni manageriali all’interno di un ecosistema prettamente maschile”.