di Francesca Vercesi
Politica di investimento, qualità creditizia, gestione del rischio, trasparenza informativa e investimenti ammissibili. Sono questi i temi trattati dalla proposta di regolamento sui fondi monetari pubblicata dalla Commissione europea. Una proposta che dovrà essere sottoposta all’approvazione del Consiglio e del Parlamento europeo e che, dalla sua entrata in vigore, coinvolgerà anche i fondi già esistenti. Questi avranno sei mesi di tempo per adeguarsi alle nuove norme. Entrando nel dettaglio della proposta della Commissione europea, gli aspetti di maggiore innovazione per i fondi di mercato monetario sono 15. Si va dall’estensione dell’ambito di applicazione a tutti i fondi che investono in attività di breve termine e che hanno come obiettivo quello di offrire rendimenti in linea con i tassi di mercato monetario (o di preservare il valore di investimento), alla previsione di una lista ristretta e tassativa di investimenti ammissibili, passando dall’obbligo di detenere almeno il 10% delle attività in strumenti con maturity giornaliera (il 20% nel caso di maturity settimanale). E la proposta sull’industria dei fondi monetari non dimentica il tema delle agenzie di rating. Secondo quanto pubblicato dalla Commissione europea, l’art. 9 comma 1 della proposta prevede requisiti minimi di merito creditizio per gli strumenti oggetto di investimento basati su un sistema di rating interni, sostitutivo dell’attuale approccio fondato sui giudizi delle agenzie di rating. Ma, al comma 3 dello stesso articolo, si precisa che la norma relativa ai requisiti minimi di merito creditizio non deve essere applicata per gli strumenti di mercato monetario emessi o garantiti da un’autorità centrale o una banca centrale di uno stato membro, dalla Bce, dall’Unione, dallo European Stability Mechanism o dalla Banca europea degli investimenti. Le proposte normative riguardano, insomma, una delle categorie di fondi più problematiche. Spiega Raffaele Zenti, confondatore del roboadvisor AdviseOnly che «per capire la portata di questa proposta occorre soffermarsi sulla difficile situazione dei fondi monetari che, se da un lato sono essenziali nell’asset allocation della maggior parte degli investitori, dall’altro soffrono per l’esiguità dei rendimenti offerti in modo generalizzato dalle obbligazioni a breve termine e dagli strumenti di liquidità, che non consentono di reggere il carico delle commissioni». Soprattutto in Paesi come l’Italia, dove i costi restano sono alti. Continua: «a fronte di questa situazione, alcuni asset manager hanno preferito eliminare dall’offerta prodotti sempre più difficili da gestire e da vendere. Altri hanno reagito aumentando il rischio, e quindi, se le cose vanno bene, anche le prospettive di rendimento, di questi fondi. Ma inserire obbligazioni russe o brasiliane in un fondo monetario può aumentare il rischio in modo non coerente con la natura di questo strumento d’investimento, che dovrebbe essere molto prudente. Molti risparmiatori potrebbero non sapere del rischio nascosto in alcuni fondi monetari». E qui arriva la proposta normativa, che in linea generale tende a rinforzare liquidità e diversificazione dei rischi all’interno di questi fondi. Commenta ancora Zenti: «va nella direzione giusta, come logica. Il risparmiatore dovrebbe essere più tutelato ma occorre capire poi l’attuazione concreta. È interessante l’introduzione del sistema di rating interno per i bond che non siano governativi europei, di agenzie e enti sovranazionali. Tali modelli interni prevederanno le valutazione dei rating delle agenzie come input ma l’output finale, cioè il rating interno, sarà farina del sacco dell’asset manager. È chiaro che questa mossa tende a responsabilizzare maggiormente i money manager che non potranno più appellarsi al fatto che il giudizio su uno strumento finanziario, a volte bizzarramente positivo, si veda il caso famigerato dei Cdo prima della crisi Lehman, è stato dato da un altro, cioè l’agenzia di rating. Il giudizio sarà proprio del gestore, che dovrà assumersene la responsabilità». Niente più scuse, insomma. E questo finirebbe per alzare l’asticella delle capacità analitiche necessarie per gestire in modo competitivo questi fondi: occorre avere un valido modello interno per la valutazione sistematica dei rischi creditizi. Saranno dunque avvantaggiati gli asset manager provvisti di solidi supporti di analisi e gestione del rischio, che riusciranno a produrre un rating interno a costi bassi, mantenendo un profilo commissionale allettante per il compratore. Altri asset manager privi delle necessarie capacità e senza la volontà di investire in competenze, potrebbero essere indotti ad abbandonare il segmento monetario.
Conclude l’esperto: «per i risparmiatori, nel complesso, la proposta è positiva e si inserisce in quel filone normativo, al quale appartiene anche Mifid II, volto a migliorare trasparenza e tutele del risparmio». Le novità della proposta potranno ragionevolmente risultare di rilievo sia per gli effetti sull’operatività dei fondi monetari esistenti sia per le prospettive di sviluppo. Ma sul tema delle agenzie di rating non mancano i punti interrogativi. Chiarisce Agostino Papa, avvocato e partner dello Studio legale Dla Piper: «l’introduzione di un sistema di regole sulla valutazione interna della qualità creditizia degli strumenti di investimento dei fondi comuni monetari ha la finalità di ridurre l’affidamento meccanico da parte dei gestori ai rating esterni. Tale obiettivo, sostenuto peraltro anche dalla Bce, può ritenersi condivisibile nei principi. Allo stesso tempo, tuttavia, occorre tener conto di una serie di fattori che potrebbero sul piano delle concretezze far risultare poi in ultima analisi l’introduzione del sistema di rating interno possibilmente inefficiente, di difficile gestione organizzativa e probabilmente costoso, anche tenuto conto della frammentazione del mercato e delle realtà professionali su cui andrebbe ad incidere. Ciò potrebbe addirittura indurre dei gestori a ripensare la propria gamma di offerta in fondi monetari, con la conseguente possibile riduzione dei flussi intermediati di finanziamento all’economia reale e la maggiore concentrazione degli operatori presenti sul mercato, con rischi di natura sistemica o quantomeno concorrenziale». Continua: «del resto, se da un lato, come era stato notato anche dalla Bce rispetto alla prima proposta della Commissione, i modelli di rating interno non producono necessariamente risultati sostanzialmente diversi da quelli delle agenzie di rating esterne, dall’altro potrebbe essere necessario anche considerare l’impatto e la complessità di sviluppo dei modelli interni rispetto sia alle caratteristiche organizzative dei gestori coinvolti, sia anche agli interessi in gioco e ai potenziali effetti di diversi approcci e appetiti al rischio, potenzialmente non di immediata percezione per il pubblico dei risparmiatori».
Precisa il legale: «è condivisibile che alla luce delle vicende di mercato degli ultimi anni le sgr possano essere chiamate a dotarsi di un processo interno, senza affidarsi solo ai rating forniti dalle agenzie specializzate. In questo senso, tuttavia, il processo di responsabilizzazione del gestore con riferimento agli ambiti valutativi potrebbe essere forse tanto più efficace quanto più mantenesse nel tempo una logica di progressività nel quadro di un approccio di affiancamento agli strumenti valutativi attuali. E ciò anche nella già citata prospettiva di tener conto delle realtà organizzative e professionali e degli impatti che, anche dal punto di vista commissionale e della redditività effettiva, possono derivare da mutamenti repentini del modello di funzionamento specialmente con riguardo ai gestori di minore dimensione o che operano su mercati meno maturi». Cosa è auspicabile, a questo punto? «Che nell’attuazione concreta delle nuove misure il legislatore comunitario tenga in conto la variegata realtà operativa e le effettive condizioni di esercizio dell’attività e i potenziali impatti, anche indiretti», conclude Papa, «che potrebbero derivare, a fronte del processo di responsabilizzazione del gestore e della definizione interna dei rating, da una contrazione dell’offerta di fondi monetari». O dalla variazione della composizione degli strumenti in cui questi sono investiti. (riproduzione riservata)
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